In questa vicenda ritroviamo tutti gli ingredienti della nostra epoca: lo sfondo della guerra in Ucraina, le ambizioni smisurate di un autocrate, l’opportunismo di un demagogo di estrema destra e l’islamofobia. Il risultato è che un paese, la Svezia, si trova bloccato nel suo processo di adesione alla Nato, laddove in teoria avrebbe dovuto trattarsi di una formalità.
La scorsa primavera la Svezia e la Finlandia, due paesi neutrali del nord Europa, hanno deciso di chiedere l’adesione alla Nato davanti al trauma dell’invasione dell’Ucraina. Per la Svezia è stata una svolta storica. Il regno, infatti, era rimasto neutrale per oltre 150 anni.
Ma immediatamente la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan ha sollevato una serie di obiezioni e ha posto come condizione che la Svezia smettesse di accogliere gli oppositori curdi. Nessun legame con la Nato o con l’Ucraina, ma una mossa perfettamente in linea con l’agenda elettorale di Erdoğan, impegnato nella campagna per le presidenziali turche che si terranno a maggio. Per superare l’ostacolo la Svezia avrebbe dovuto rinnegare la sua tradizione di asilo.
Un regalo a Erdoğan
A stravolgere una situazione già complicata è arrivato il rilancio dell’estrema destra nordica.
Come già accaduto spesso in passato, un estremista ha approfittato del clima di crisi per far precipitare le cose, portando avanti l’idea di uno scontro di civiltà. In settimana Rasmus Paludan, leader di un partito di estrema destra danese, ma in possesso anche della cittadinanza svedese, ha partecipato a una manifestazione davanti all’ambasciata turca di Stoccolma, dove ha pensato bene di bruciare una copia del Corano.
Erdoğan gioca una partita delicata e non farà alcuna concessione prima del voto
Il gesto, chiaramente fuori contesto rispetto all’adesione della Svezia alla Nato, ha trasformato questa crisi nell’ennesima versione del dibattito sulla libertà di espressione in opposizione all’accusa di blasfemia, un meccanismo che inevitabilmente porta all’impasse.
Paradossalmente la provocazione di Paludan è stata un regalo per Erdoğan, perché il leader turco ha potuto presentarsi nuovamente come paladino dell’islam, incassandone i relativi benefici elettorali. Coincidenza non trascurabile, quest’anno ricorre il centenario della nascita della repubblica proclamata da Kamal Ataturk sulle macerie dell’impero ottomano. I simboli, evidentemente, hanno la loro importanza.
La prima conseguenza di tutto questo è che la Svezia non potrà aderire alla Nato in tempi brevi, perché la Turchia ha fatto presente che in queste condizioni non darà il proprio assenso anche se arrivasse il via libera da parte di tutti gli altri componenti dell’alleanza.
Di sicuro la questione non sarà risolta prima delle elezioni turche. In un contesto economico difficile, infatti, Erdoğan gioca una partita delicata e non farà alcuna concessione prima del voto. Il fatto che il presidente turco intrattenga buoni rapporti con Vladimir Putin ha anch’esso il suo peso.
La Finlandia, l’altro candidato che aveva presentato la richiesta contemporaneamente alla Svezia, potrebbe dunque essere l’unica ad aderire alla Nato, almeno in un primo momento. L’equazione strategica in quest’area dell’Europa non cambia di molto, ma la vicenda impedisce all’Alleanza atlantica di presentare un fronte unito contro Putin.
Ancora una volta Erdoğan agisce da solo e senza preoccuparsi degli interessi di quelli che dovrebbero essere i suoi alleati della Nato. Non c’è da stupirsi. Il presidente turco è abituato a creare scompiglio.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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