Benjamin Netanyahu ha voluto giocare all’apprendista stregone, e ha perso. Annunciando la sera del 27 marzo la sospensione della sua riforma giudiziaria, che ha profondamente diviso la società israeliana e spinto centinaia di migliaia di persone a protestare nelle strade del paese, il primo ministro ha sancito la propria sconfitta.
Possiamo stare certi che “Bibi” non abbia ancora detto l’ultima parola, anche perché la riforma è stata solo sospesa, non ritirata. Netanyahu ha promesso un “vero dialogo” dopo la Pasqua ebraica.
Il primo ministro non è un uomo che arretra facilmente, ma in questo caso si era spinto chiaramente troppo oltre, prima di tutto alleandosi con forze di estrema destra provenienti dalle frange più radicali dello scacchiere politico, e in secondo luogo cercando di alterare l’equilibrio su cui ha vissuto lo stato ebraico fin dalla sua fondazione nel 1948. I suoi progetti minacciavano di cambiare la natura del paese in senso illiberale.
Forza sopravvalutata
Netanyahu, che detiene il record di longevità al potere dalla nascita di Israele, non aveva previsto la mobilitazione senza precedenti della popolazione laica, liberale e produttiva. Questo “altro Israele” manifesta da dodici settimane contro il progetto del primo ministro, e non ha mai mollato la presa.
L’errore fatale di Netanyahu è stato quello di licenziare, la sera del 26 marzo, il ministro della difesa Yoav Gallant, colpevole di aver osato chiedere il “congelamento” del progetto di legge. Per riprendere l’espressione del quotidiano Haaretz, il primo ministro “ha scoperchiato il vaso di Pandora della collera dell’opinione pubblica israeliana”. Decine di migliaia di persone si sono radunate per manifestare davanti al parlamento e alla residenza del primo ministro fino a notte fonda. Il 27 marzo è stata la volta di uno sciopero generale.
Dopo un simile passo indietro è difficile che Netanyahu riesca a far passare la sua riforma della giustizia
Netanyahu ha sopravvalutato la propria forza dopo aver vinto, in autunno, le quinte elezioni legislative in quattro anni; e di contro ha sottovalutato la reazione di buona parte della popolazione israeliana, che negli ultimi anni si è di sicuro allontanata dagli sterili giochi politici, ma ha capito perfettamente l’importanza fondamentale della riforma, che rischiava di cambiare per sempre il volto del paese. La situazione è diventata presto insostenibile.
È ancora possibile che Netanyahu riesca a far approvare la sua riforma? Dopo un simile passo indietro, sembra difficile che questo accada. Leggendo i sondaggi il primo ministro avrà sicuramente capito che la sua coalizione perderebbe la maggioranza se oggi si tornasse a votare. La credibilità politica del governo è chiaramente compromessa.
Ora Netanyahu dovrà gestire l’indomani di questa disfatta. La sera del 27 marzo si sono verificati scontri tra i manifestanti di estrema destra e i loro oppositori. La frangia radicale dell’opinione pubblica, che si appoggia sulle colonie ebraiche in Cisgiordania, riteneva che fosse arrivato il suo momento e ora è profondamente delusa.
La coalizione di governo ha vacillato. I capi dell’estrema destra hanno inizialmente minacciato di dimettersi se la riforma fosse stata sospesa, prima di negoziare la propria permanenza.
Il ritorno al potere è servito a Netanyahu per evitare di dover rispondere delle accuse di corruzione davanti alla giustizia, ma il prezzo da pagare è stata la nascita della colazione più sbilanciata a destra nella storia di Israele, con l’emergere di una situazione esplosiva. “Bibi re d’Israele”, cantavano in passato i suoi partigiani. Il re, però, ha perso la battaglia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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