La visita negli Stati Uniti della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen è una testimonianza chiara dell’escalation inesorabile nella rivalità sino-americana. La presenza di Tsai su suolo americano e soprattutto il suo incontro del 5 aprile in California con il presidente della camera, il repubblicano Kevin McCarthy, sono come un drappo rosso sventolato davanti agli occhi dei leader cinesi, che hanno promesso “rappresaglie”.

Questo ennesimo aumento della tensione ha scosso il delicato equilibrio della visita in Cina del presidente francese Emmanuel Macron, che il 6 aprile è stato raggiunto dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. I leader europei sperano di ridefinire i rapporti tra la Cina e il vecchio continente sottraendosi alla nuova guerra fredda tra Pechino e Washington, ma il percorso è stretto e accidentato, come ha ammesso lo stesso Macron.

A Pechino il presidente francese ha difeso la possibilità per l’Europa di non lasciarsi trascinare nella logica dei blocchi contrapposti che si sta affermando progressivamente tra Stati Uniti e Cina, pur ribadendo che la Francia, alleata degli Stati Uniti, non può certo garantire un’equidistanza nel suo rapporto con Pechino.

Scontro radicalizzato
È in questo senso che la questione di Taiwan complica le cose. Macron avrebbe preferito non parlare di Taiwan – “Posso occuparmi solo di ciò che dipende da me”, aveva dichiarato ai giornalisti al suo seguito – e non ha nessuna fretta di inviare un ministro a Taipei, come invece hanno fatto i tedeschi.

Tuttavia la radicalizzazione dello scontro sul destino dell’isola, separata dalla Cina continentale dal 1945, rende molto difficile la neutralità. La Francia segue la logica della “Cina unica”, la dottrina ufficiale che nega l’esistenza legale di Taiwan, ma non può certo ignorare i 24 milioni di taiwanesi che hanno forgiato una democrazia e non vogliono perderla in una riunificazione.

Macron e Ursula von der Leyen proveranno a favorire un incontro tra Xi Jinping e Zelenskyj

I cinesi non mancano mai di ribadire la politica della “Cina unica” e pretendono che a farlo siano anche i loro ospiti che vi hanno aderito. È quello che accadrà nella giornata del 6 aprile durante gli incontri con il numero uno cinese Xi Jinping.

Se la Cina dovesse decidere di moderare la sua reazione alla visita della presidente taiwanese almeno fino a quando gli europei si troveranno a Pechino, la questione potrebbe finire lì. La notte del 5 aprile il ministro degli esteri ha pubblicato una dichiarazione forte per denunciare la provocazione americana, mentre intorno all’isola sono in corso manovre navali. Ma nulla che ricordi la risposta furiosa dello scorso agosto, in occasione della visita di Nancy Pelosi a Taipei.

Alcuni esperti di dinamiche cinesi ritengono che la reazione di Pechino potrebbe semplicemente essere “ritardata” e che le “rappresaglie” promesse arriveranno più tardi.

Questo consente a Macron e Von der Leyen di provare a ottenere da Xi un contributo sull’Ucraina, magari la promessa di parlare con il presidente Zelenskyj. Ma è difficile strappare qualcosa di più, considerando che il 5 aprile i primi ministri di Russia e Cina hanno proclamato che i rapporti tra i due paesi non sono mai stati cosi buoni.

Sfuggire alla logica dei blocchi contrapposti è estremamente arduo. L’Europa fa bene a provarci, ma i venti contrari soffiano forte.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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