Li chiamano i cinque “stan”: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan. Questi paesi, che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica, oggi sono al centro di una zona strategica compresa tra Cina e Russia.

Il 18 e il 19 maggio i leader dei cinque paesi si sono riuniti a Xi’an, nella Cina centrale, per incontrare il numero uno cinese Xi Jinping. Nella foto di rito, però, manca qualcuno: Vladimir Putin. L’assenza del presidente russo è particolarmente significativa. Le repubbliche centroasiatiche, infatti, si stanno riavvicinando a Pechino per poter prendere più agevolmente le distanze da Mosca.

Non si tratta di un voltafaccia né tantomeno di una rottura, ma di un processo di riequilibrio alla luce di una nuova situazione regionale in cui l’ascendente cinese è una realtà innegabile. Eppure a margine della riunione, in privato, un rappresentante ufficiale di Pechino ha ammesso che un vertice tra i paesi dell’Asia centrale e la Cina, senza la Russia, di sicuro non farà piacere a Putin.

Ponte tra passato e presente
La scelta di Xi’an come sede dell’evento è un simbolo voluto. L’ex capitale imperiale, oggi capoluogo della provincia del Shaanxi, era il punto di partenza dell’antica via della seta, oltre duemila anni fa. Dunque può rappresentare una sorta di ponte tra la storia più remota e la geopolitica attuale, nuovamente incentrata sulla Cina.

Nella nuova guerra fredda con gli Stati Uniti, Pechino prova una sensazione di accerchiamento da parte degli alleati degli statunitensi, dal Giappone alla Corea del Sud fino alle Filippine. Dialogando con l’Asia centrale, la Cina si assicura che il fianco orientale sia meno problematico.

Una delle motivazioni della manovra cinese è legata al contesto della guerra

È una vecchia preoccupazione. Fin dalla caduta dell’Urss la Russia ha mantenuto una forte influenza politica sugli stati dell’Asia centrale, pur condividendo una sorta di tutela condivisa con la Cina. All’inizio del nuovo millennio cinesi e russi hanno fondato insieme l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, una struttura che all’epoca era destinata a impedire che l’Asia centrale scivolasse nell’islamismo e a bloccare i dissidenti di qualsiasi orientamento, a cominciare dagli uiguri.

Oggi Pechino assume senza esitazioni la leadership regionale, approfittando (senza dirlo) del fatto che la Russia è occupata su un altro fronte. La geografia, l’economia e l’indebolimento russo spingono le cinque repubbliche tra le braccia di Pechino.

Una delle motivazioni della manovra cinese è legata al contesto della guerra. Negli ultimi anni la Cina ha sviluppato considerevolmente il trasporto ferroviario di merci destinate all’Europa, ma con lo scoppio del conflitto in Ucraina e le sanzioni contro Mosca, i treni non possono più seguire la via principale, nel nord. Servono percorsi alternativi.

Ne esistono sostanzialmente due: uno, a sud, passa da un altro stato-paria, l’Iran. Non certo una soluzione raccomandabile. Resta dunque la via di mezzo, che attraversa diversi paesi dell’Asia centrale e la Turchia fino a raggiungere l’Europa. È questo il percorso che Pechino sta sviluppando oggi. Dalla metà dell’anno scorso il volume del traffico su questa rotta è sestuplicato.

La Cina ha bisogno di vie commerciali affidabili e di mercati aperti. È l’opposto della Russia, che esporta soprattutto idrocarburi. Questo spiega come mai, davanti all’ostilità statunitense, oggi Pechino sorrida all’Europa e intrecci metodicamente la sua tela, come ha fatto il 18 maggio a Xi’an.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it