È una vecchia questione, antecedente alla guerra in Ucraina. L’agenda mediatica mondiale, dettata dagli occidentali, penalizza i paesi del sud.

Il 28 giugno un commentatore nigeriano ha sottolineato su Twitter che la guerra dei capi militari in Sudan non trova spazio sulle testate occidentali. “L’Ucraina è la loro priorità, perché è il loro popolo e la loro storia. Il nostro problema, invece, è che non raccontiamo la storia che ci appartiene”.

In un mondo ideale dovremmo poter compatire le vittime del missile russo sulla pizzeria di Kramatorsk, in Ucraina, ma anche la sorte dei milioni di sudanesi che fuggono dalla terribile guerra scatenata da due capi militari nel totale disprezzo delle vite umane. La realtà, però, è meno generosa.

Bilancio terrificante
È per questo che ho deciso di riportare le cifre diffuse dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) a proposito del Sudan. Leggendole, sono rimasto sconvolto dalla portata della catastrofe umanitaria che si svolge al di fuori dai nostri radar.

Gli scontri sono cominciati ad aprile a Khartoum, grande capitale del Sudan. Uno schieramento è composto dalle truppe fedeli al capo dello stato maggiore, il generale Abdel Fattah al Burhan, mentre l’altro da una milizia paramilitare guidata da Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemetti. È una lotta senza esclusione di colpi per la conquista del potere, tra due uomini che condividono la responsabilità di aver spazzato via le speranze di una rivoluzione democratica in Sudan.

In questo mondo distorto, le Nazioni Unite sono ostacolate quando cercano di svolgere la propria attività umanitaria e cercano di riportare la pace

Dopo poco più di due mesi di guerra, il bilancio stilato dall’Unhcr è terrificante: due milioni e mezzo di persone sono sfollate a causa dei combattimenti a Khartoum e nelle regioni del Darfur e del Kordofan. Sono 560mila i sudanesi rifugiati nei paesi vicini come Egitto, Ciad, Etiopia, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, che però hanno già i loro problemi.

L’Etiopia, per esempio, sta uscendo con difficoltà da una guerra atroce nella provincia del Tigrai e vive a sua volta un dramma umanitario.

Scappare dalle zone di guerra non è semplice. Secondo l’Unhcr molti sfollati e rifugiati “mettono in pericolo la propria vita cercando di trovare riparo all’interno o all’esterno delle frontiere del paese”.

L’agenzia dell’Onu non è nelle condizioni di aiutare queste persone. Il 28 giugno, infatti, l’Unhcr ha sottolineato che il piano umanitario per il Sudan ha raggiunto appena il 20 per cento dei finanziamenti necessari. È qui che l’informazione, o piuttosto la sua assenza, diventa un fattore. Per l’Ucraina il denaro non manca, ma un conflitto invisibile come quello in Sudan subisce la doppia pena.

Si tratta evidentemente di un atteggiamento miope, perché i rifugiati che oggi non ricevono aiuto si avvieranno lungo la rotta dell’emigrazione, diventando un problema politico di domani.

In questo mondo distorto, le Nazioni Unite sono ostacolate quando cercano di svolgere la propria attività umanitaria e sono ostacolate quando provano a riportare la pace. I tentativi di mediazione sono tutti falliti. Eppure la diplomazia è l’unica soluzione per risolvere i conflitti.

Le vittime di Kramatorsk e Khartoum hanno un punto in comune: la regressione barbara del mondo attuale. La differenza, invece, è che gli ucraini conquistano giustamente le prime pagine, mentre i sudanesi muoiono in una ingiusta indifferenza.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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