Parafrasando una famosa massima calcistica, possiamo dire che la Nato è un’organizzazione che riunisce 31 paesi, ma in cui alla fine a decidere sono gli Stati Uniti. Qualsiasi residuo di suspense sulla possibile adesione dell’Ucraina all’organizzazione di difesa transatlantica è stato cancellato da Joe Biden prima della sua partenza da Washington, dove prenderà parte al vertice della Nato di Vilnius. Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato alla Cnn che l’Ucraina non è ancora pronta a entrare immediatamente nell’alleanza. Il messaggio è chiaro.
In fondo, malgrado le speranze smisurate espresse dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e dai suoi più ardenti sostenitori sul fianco est della Nato, questo esito era prevedibile.
Accogliere l’Ucraina in piena guerra era impensabile, perché di fatto avrebbe significato un ingresso in guerra dell’alleanza militare contro la Russia, uno sviluppo che nessuno vorrebbe. Joe Biden lo ha detto senza giri di parole.
Scenario non plausibile
Ma la storia non finisce qui. Zelenskyj, che dovrebbe arrivare a Vilnius il 12 luglio, non ripartirà a mani vuote. Il presidente ucraino riceverà infatti la garanzia di poter entrare nella Nato dopo la fine della guerra con una via preferenziale, oltre a un principio di integrazione politica immediato con la creazione di un consiglio Nato-Ucraina a Vilnius. Gli ucraini resteranno forse delusi, ma Zelenskyj è un realista. Spinge fin dove può (come ha fatto con le armi richieste all’occidente) e sfrutta i risultati ottenuti.
Nonostante l’assenza di un calendario preciso, Vilnius segnerà una tappa importante per l’Ucraina. Finora lo status di Kiev si basava sul compromesso discutibile raggiunto in occasione del vertice di Bucarest del 2008, che si era limitato ad aprire la porta all’adesione dell’Ucraina per tenere conto delle perplessità francesi e tedesche. Anche al momento dell’invasione russa dell’anno scorso, in occidente non sono mancate le voci favorevoli a una neutralità dell’Ucraina per placare la Russia. Ma oggi questo scenario non è più considerato plausibile, perché la guerra ha spazzato via ogni esitazione.
Mosca protesta e minaccia (lo ha fatto nuovamente il 10 luglio alla vigilia del vertice di Vilnius), ma nella Nato nessuno ci fa più caso. Perfino la Francia, che fino a qualche mese fa proponeva di “non umiliare la Russia” (secondo la frase controversa usata dal presidente Emmanuel Macron), ha operato una svolta di 180 gradi e oggi sostiene quasi incondizionatamente le aspirazioni ucraine.
Nel suo discorso pronunciato a Bratislava a maggio, Macron aveva palesato uno scarto diplomatico dettato dalla portata della guerra russa (che radicalizza i punti di vista), dall’assenza di qualsiasi possibilità di negoziare in questa fase della guerra e dal rischio di “perdere” definitivamente la fiducia dei paesi dell’Europa centrale e orientale, minacciati dalla prossimità del conflitto. Questi paesi, evidentemente, preferiscono rivolgersi all’alleato statunitense, giudicato più affidabile.
Tutto questo fa capire a Zelenskyj che i paesi della Nato sono dalla sua parte. È un successo non indifferente dopo diciotto mesi di una guerra inedita sul continente europeo. Certo, all’interno dell’alleanza persistono differenze di sensibilità e restano diversi ostacoli sulla via dell’unità, come dimostra il caso della diplomazia transazionale del presidente turco Erdoğan. Ma al contempo c’è la consapevolezza che la posta in gioco in Ucraina va oltre il destino del paese e condiziona gli equilibri geopolitici globali.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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