In quale paese può scomparire un ministro degli esteri senza che nessuno possa chiedere cos’è successo? Si penserebbe a regimi dittatoriali come la Corea del Nord ella dinastia dei Kim, o come la Siria del clan Assad. Ma mai alla seconda potenza economica e militare mondiale, con diritto di veto nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che presenta al mondo il suo modello politico e sociale come alternativo all’occidente considerato in declino. Parlo della Cina di Xi Jinping, dove è in corso un’eclissi d’altri tempi, dell’epoca delle purghe in cui i dirigenti sparivano dalle foto con il grande timoniere Mao Zedong, cancellati “a mano”, prima di Photoshop.

Dal 25 giugno nessuno ha rivisto il ministro degli esteri della Repubblica popolare cinese, Qin Gang. I primi giorni, quando il nuovo capo della diplomazia in carica da appena sei mesi non si trovava là dove doveva essere, i portavoce avevano detto che era malato.

Messaggi sibillini
Si è pensato al covid, il che era plausibile. Poi le spiegazioni imbarazzate hanno lasciato il posto al silenzio – e alle voci di corridoio. La più insistente è quella di una relazione extraconiugale con una nota giornalista della tv Phoenix di Hong Kong, con la quale avrebbe avuto un figlio. Anche la giornalista è scomparsa; uno dei suoi ultimi messaggi sui social media somiglia a un rebus, con tre foto, scattate a bordo di un jet privato tra Los Angeles e Pechino, con un neonato in braccio e un messaggio sibillino.

Altre voci di corridoio aggiungono la pista dello spionaggio per insaporire l’intrigo amoroso. Ma nessuno sa davvero di cosa si tratti. Per assicurare la continuità della diplomazia cinese, l’ex ministro Wang Yi, ammesso nel consiglio di stato, ha ricominciato a viaggiare in Asia centrale e in Africa per sostituire Qin Gang. Senza spiegazioni.

Per subire gli attacchi del partito non è necessario essere dissidenti politici

Queste peripezie alla testa del Partito comunista e dello stato a Pechino non avrebbero importanza se non fossero rivelatrici di una falla nel modello cinese: l’assenza dello stato di diritto. Anche se Qin Gang è ministro, e in precedenza è stato ambasciatore a Washington, il ruolo preponderante per la diplomazia cinese, questo non lo mette al riparo da una “scomparsa” senza appello nella giustizia parallela del partito. E non è il solo. In questi ultimi anni era “scomparsa” allo stesso modo la star del cinema Fan Bingbing per un caso di evasione fiscale; la tennista Peng Shuai era “scomparsa” dopo aver denunciato un caso di molestie, dalla forte valenza politica.

La stessa sorte è toccata al celebre Jack Ma, fondatore della piattaforma di commercio online Alibaba, e un tempo uomo più ricco d’Asia. La “scomparsa” di Ma aveva coinciso con un discorso in cui si era permesso di criticare il settore bancario cinese, un gesto audace per il principale imprenditore privato che ha aveva osato prendersela con un settore ancora controllato dallo stato. Per un certo periodo Ma si è rifugiato a Tokyo, almeno finché il governo di Pechino non ha deciso di calmare la tensione con i giganti del settore tecnologico nel tentativo di rilanciare un’economia stagnante.

Questi casi dimostrano che per subire gli attacchi del partito non è necessario essere dissidenti politici come l’avvocato Xu Zhiyong, condannato di recente a 14 anni di prigione con l’accusa di “sovversione”. Un ministro, una star del cinema, una tennista, un miliardario del settore tecnologico. Senza avvocati, senza possibilità di appello, senza discussioni pubbliche né possibilità di contraddittorio.

Ciò spiega il ritorno di un senso di insicurezza palpabile nella classe media cinese, che sperava nella fine dell’arbitrarietà mano a mano che ci si allontanava dal periodo maoista. Al contrario, Xi Jinping ha rinforzato questo clima di terrore, convinto che il potere del partito debba restare totale e incontrastato. Un giorno il ministro Qin Gang ricomparirà, come se niente fosse; ma questo sentimento d’insicurezza è destinato a rimanere. L’assenza dello stato di diritto è il tallone d’Achille del “sogno cinese” di Xi Jinping.

(Traduzione di Giovanna Chioini)

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