È un concetto che ritorna spesso: la “deoccidentalizzazione del mondo”, cioè la perdita di influenza dell’occidente in campo economico, geopolitico e anche demografico.
Se n’è parlato di nuovo la settimana scorsa in occasione del vertice dei Brics, il club dei paesi emergenti che ha appena deciso un allargamento da cinque a undici membri. Il principale punto in comune tra questi stati è quello di essere non occidentali, una definizione in negativo che però offre un solco comune a nazioni molto diverse tra loro come la Cina, l’Arabia Saudita o l’Argentina.
Potremmo applicare la stessa lettura alla crisi in Niger e all’estromissione della Francia da una parte del suo vecchio impero, in un ritorno di dinamiche postcoloniali che si traducono in ribaltamenti geopolitici.
I numeri non dicono tutto
Ma attenzione a non trarre conclusioni troppo affrettate. A prima vista la deoccidentalizzazione è incontestabile: i Brics in senso allargato rappresentano il 46 per cento della popolazione mondiale e oltre un terzo del prodotto interno lordo (pil) globale. Il G7 occidentale, di contro, non va oltre il 10 per cento della popolazione e il 30 per cento del pil. Ma i numeri non dicono tutto.
È difficile fornire una lettura completa del fenomeno, prima di tutto perché i paesi riuniti sotto la sigla dei Brics non costituiscono affatto un blocco coerente, per non parlare di quelli che fanno parte del “sud globale”.
La prima cosa da fare è ascoltare le legittime richieste di uguaglianza che arrivano dai paesi del sud
All’interno dei Brics, la Cina e la Russia vorrebbero creare un movimento “anti-G7” con una dimensione ideologica nettamente antioccidentale. Ma diversi paesi del “club”, pur condividendo la volontà di sottrarsi a un mondo plasmato e governato dagli occidentali e in particolare dal “dio dollaro”, non vogliono essere trascinati in un blocco dominato dalle ambizioni cinesi e soprattutto non intendono partecipare alla guerra fredda che si avvicina all’orizzonte.
Esiste più di una sfumatura tra le due “linee”, e i paesi occidentali farebbero bene a sottolinearlo prima che si diffonda la percezione di una spaccatura “occidente contro il resto del mondo”, “the west against the rest”.
La prima cosa da fare è ascoltare le legittime richieste di uguaglianza che arrivano dai paesi del sud. A giugno, in occasione del vertice sul finanziamento per lo sviluppo, organizzato a Parigi, il presidente del Kenya William Ruto, tutto fuorché un avversario dell’occidente, ha avuto uno scambio di vedute acceso con il presidente francese Emmanuel Macron. “C’è un problema nel vostro progetto”, ha attaccato Ruto. “Volete riformare le istituzioni internazionali affinché continuino a darci ordini. Noi invece vogliamo istituzioni in cui sederci al tavolo in cui si prendono le decisioni”. Abbastanza chiaro.
È la vecchia rivendicazione di uguaglianza, ma con un’accezione più politica e più antagonista rispetto al passato, nel contesto della guerra russa in Ucraina e del rifiuto di parteciparvi di una parte dei paesi del sud. La Russia e la Cina, naturalmente, alimentano questo sentimento di ingiustizia rispetto all’occidente.
Alla fine la riorganizzazione del mondo si farà comunque, con gli occidentali (se lo accetteranno) o contro di loro. Da questo punto di vista il centro della questione, nel contesto dei Brics e in altri, non è tanto una “deoccidentalizzazione” che non ha nulla di ineluttabile, ma la fine dell’egemonia occidentale sul percorso seguito dal mondo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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