×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

In Israele parlare di apartheid non è più un tabù

Murales su edifici demoliti a Gaza, 8 giugno 2023. (Ali Jadallah, Anadolu Agency/Getty Images)

Fino a poco tempo fa chiunque usasse la parola apartheid per descrivere la situazione nei Territori palestinesi rischiava di essere accusato di antisemitismo. Ma il 6 settembre l’accusa è stata lanciata addirittura da un ex capo del Mossad, i servizi segreti israeliani, che si è unito a una corta lista di personalità dello stato ebraico che hanno deciso di compiere questo passo cruciale.

In Israele il tabù dell’apartheid sta progressivamente svanendo anche a causa degli eccessi dell’estrema destra, che oggi è parte integrante della coalizione al potere. È il riflesso della battaglia politica tra due Israele che appaiono divisi su tutto. La situazione nei Territori palestinesi è rimasta a lungo lontana dal centro dei dibattiti, ma ora le cose sono cambiate.

Tamir Pardo, capo del Mossad tra il 2011 e il 2016, ha dichiarato che il trattamento riservato ai palestinesiè paragonabile all’apartheid, il sistema basato su un razzismo istituzionalizzato che ha governato il Sudafrica fino al 1994. “Un territorio in cui due popoli sono sottoposti a due sistemi giuridici separati è in uno stato di apartheid”, ha sentenziato Pardo.

Una definizione impeccabile
L’ex capo del Mossad e altri ex comandanti militari e leader politici hanno deciso di sposare la tesi dell’apartheid spinti dalla radicalizzazione politica della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una scena che ha sconvolto i telespettatori della tv israeliana. Intervistato da un giornalista arabo israeliano, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir – leader dell’estrema destra e residente nella colonia ebraica di Kiryat Arba, nei pressi di Hebron, in Cisgiordania – ha pronunciato le seguenti parole: “Mi dispiace, Mohammed, il diritto di mia moglie, dei miei bambini e mio di circolare liberamente in Giudea e Samaria [nome biblico della Cisgiordania] è più importante del diritto degli arabi alla libertà di movimento”. Il ministro, in sostanza, ha fornito una definizione impeccabile dell’apartheid.

La fine del tabù riporta la questione palestinese al centro del dibattito

Benjamin Pogrund, israeliano di origine sudafricana che in gioventù ha combattuto contro l’apartheid, ha manifestato alla stampa il suo cambiamento di opinione. Nel 2014 Pogrund aveva scritto un libro in cui contestava l’accusa di apartheid, ma oggi ritiene che nei Territori palestinesi Israele si comporti esattamente come faceva il regime sudafricano rimasto in piedi fino ad appena una trentina di anni fa.

Considerando che l’apartheid sudafricano era stato contrastato da una serie di sanzioni internazionali, le conseguenze di questa svolta potrebbero essere pesanti. Oggi i sostenitori delle sanzioni contro Israele sono in minoranza, ma potranno fare riferimento a questa definizione ormai condivisa all’interno del sistema israeliano per farsi sentire.

Ma soprattutto la fine del tabù riporta la questione palestinese al centro del dibattito. Per troppo tempo la società israeliana ha chiuso gli occhi davanti a ciò che accadeva nei Territori. Ora però, con l’agenda radicale della coalizione al potere, questo non è più possibile.

C’è un’altra frase pronunciata da Pardo che ha fatto scalpore. Secondo l’ex capo del Mossad per Israele la questione palestinese è più urgente della minaccia nucleare iraniana. Era da tempo che una personalità di questo calibro non esprimeva un giudizio così netto. È una conseguenza della rottura provocata in pochi mesi dal primo ministro Netanyahu e dai suoi alleati.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Leggi anche:

Guarda anche:

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.

pubblicità