Un sisma devastante in Marocco, inondazioni catastrofiche in Libia. I disastri che hanno colpito due paesi della sponda sud del Mediterraneo, oltre a suscitare forte emozione, hanno risvegliato un vecchio dibattito: quello sugli aiuti umanitari.

Il 14 settembre la Francia ha inviato a bordo dei suoi aerei militari un ospedale da campo con 50 specialisti nella regione di Derna, sulla costa libica. È lì che le inondazioni hanno provocato migliaia di vittime. La struttura medica è sicuramente necessaria in un paese senza uno stato unificato e destabilizzato da oltre dieci anni.

All’inizio della settimana la Francia si era dichiarata pronta a inviare soccorritori della protezione civile, con i loro cani e i loro materiali, anche nella regione marocchina colpita dal sisma, come aveva già fatto in altre occasioni (per esempio in Turchia nell’inverno scorso). Ma il via libera di Rabat non è mai arrivato, e i soccorritori sono rimasti in Francia. La stessa situazione si è ripetuta con gli Stati Uniti.

Un’epoca conclusa
Il contrasto tra le due situazioni solleva diversi interrogativi, al di là di qualsiasi polemica che in questo caso risulta del tutto inutile. In un video rivolto al popolo marocchino e pubblicato sui social network il 13 settembre, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di “dispute che non hanno ragione di esistere”, ma questo tentativo di comunicazione diretta dimostra che le cose non vanno come sperava Parigi.

Tra i problemi da analizzare c’è senz’altro la natura dell’aiuto umanitario di stato. Nessuno può sorprendersi del fatto che gli aiuti siano una questione politica, perché è sempre stato così.

Dopo la fine della guerra fredda concetti come “diritto” o “dovere d’ingerenza” sono stati sbandierati nell’euforia della fine dei blocchi

Il primo intervento umanitario francese risale addirittura ai tempi di Napoleone III, che nel 1860 inviò l’esercito francese in Libano per salvare i cristiani minacciati, ufficialmente per ragioni strettamente umanitarie quando in realtà si trattava chiaramente di un tentativo di rafforzare l’influenza francese a scapito dell’impero ottomano. Leggendo Devoir d’intervenir? (Dovere d’intervento?), un libro dello storico Yann Bouyrat dedicato a quella spedizione, è sorprendente notare fino a che punto i dibattiti del 1860 fossero simili a quelli di oggi.

Dopo la fine della guerra fredda concetti come “diritto” o anche “dovere d’ingerenza” sono stati sbandierati nell’euforia della fine dei blocchi. Il rifiuto del Marocco di accogliere i soccorritori significa che quell’epoca si è ormai conclusa. Rabat, evidentemente, ha scelto la riaffermazione della sovranità anche in casi di estrema urgenza.

Il caso libico dimostra invece che “l’ingerenza umanitaria” di cui il mondo occidentale si è progressivamente fatto paladino resta legittima quando si tratta di stati al collasso. Purtroppo ne è un esempio la Libia, dove l’aiuto francese è tanto più opportuno considerando la grande responsabilità di Parigi nel caos del paese. Nel 2011 la Francia aveva infatti assunto l’iniziativa dell’intervento militare contro il regime del colonnello Gheddafi.

In un saggio del 1995, L’action humanitaire, l’esperto francese Rony Brauman sottolinea che “l’azione umanitaria si è affermata come componente dei rapporti internazionali e strumento diplomatico, oltre che come impegno individuale e via d’accesso privilegiata al mondo”.

Il desiderio di affermazione della sovranità da parte dei paesi del sud, però, sta cambiando le carte in tavola. Il dramma sarebbe se in nome di questo principio le vittime delle tragedie fossero private degli aiuti che localmente non sono disponibili. In un mondo che ne ha sempre più bisogno, la solidarietà non può permettersi un passo indietro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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