L’Iran ha in mano una delle chiavi della crisi, in quanto si trova nelle condizioni di decidere se limitare la portata del conflitto tra Israele e Hamas, o trasformarlo in uno scontro regionale con l’apertura di un nuovo fronte con l’organizzazione paramilitare libanese Hezbollah. La decisione sarà presa a Teheran, non a Beirut.

Il 23 ottobre, nella capitale iraniana, arriva il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Mosca si è avvicinata all’Iran grazie alla fornitura di droni iraniani usati dall’esercito russo contro l’Ucraina, e la visita di Lavrov conferisce al conflitto mediorientale una dimensione più globale e inquietante.

I segnali di uno scontro più vasto ci sono tutti: dall’intensificarsi degli scontri tra Hezbollah e Israele, che hanno fatto diverse vittime, al bombardamento nel fine settimana dell’aeroporto di Damasco, in Siria, da parte dell’aviazione israeliana – la seconda volta in sette giorni –, fino ai missili lanciati in direzione di Israele dai ribelli huthi yemeniti (vicini all’Iran) e distrutti dagli statunitensi. Per non parlare dell’avvertimento lanciato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu: “Hezbollah commetterebbe un terribile errore se decidesse di entrare in guerra contro Israele”.

Da anni, anzi da decenni, il regime iraniano si alimenta dei conflitti nella regione. Teheran ha salvato Bashar al Assad in Siria, ha approfittato dell’invasione statunitense per rafforzare la sua influenza in Iraq, sostiene i ribelli yemeniti e ha trasformato Hezbollah nella prima forza in Libano, più potente dell’esercito nazionale.

Oggi l’Iran può raccogliere i frutti dei suoi investimenti, approfittando della destabilizzazione generata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre e far salire la tensione con l’apertura di nuovi fronti.

Tuttavia, Teheran non può avere dubbi su quali sarebbero le conseguenze, soprattutto considerando i messaggi espliciti lanciati dagli statunitensi: il territorio, le infrastrutture e il programma nucleare dell’Iran non uscirebbero indenni da una guerra scatenata da Hezbollah. Il regime iraniano è pronto a pagare questo prezzo nella speranza di uscire rafforzato dalla lotta contro l’occidente in Medio Oriente? Un esito di questo tipo non è affatto scontato, anche se le passioni suscitate nel mondo musulmano dai drammi di Gaza rischiano di pesare su qualsiasi decisione.

La Russia, dal canto suo, ha di che rallegrarsi. C’è ancora qualcuno che parla dell’Ucraina? A questo punto per gli Stati Uniti diventa problematico sostenere contemporaneamente Israele e Kiev, come dimostra il fatto che alcuni missili da inviare all’Ucraina sono stati destinati allo stato ebraico. Una questione di priorità.

Politicamente la nuova crisi favorisce Mosca, perché sottolinea il metodo dei due pesi e due misure di cui sono accusati gli occidentali dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Il sud globale non sbaglia a evidenziare la contraddizione tra chi difende il diritto in Ucraina e chi non vede che i diritti dei palestinesi sono negati da decenni.

La settimana scorsa Vladimir Putin e Xi Jinping si sono riuniti a Pechino per valutare le ricadute politiche (positive per entrambi) del conflitto mediorientale. Magari tra Cina, Russia e Iran non esiste un’alleanza dichiarata, ma di sicuro c’è una convergenza d’interessi. Putin e Xi sono pronti per un’escalation? La visita di Lavrov a Teheran ci fornirà una risposta parziale a questa domanda carica di conseguenze.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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