Se Javier Milei fosse solo di estrema destra, la sua elezione a presidente dell’Argentina rientrerebbe in uno schema elettorale ormai relativamente classico. Ma il vincitore del secondo turno, con ben il 56 per cento dei voti, va oltre questa lettura. Ciò rende il suo caso intrigante e solleva diverse domande.
Milei è prima di tutto un “libertario radicale”, come sottolinea il Financial Times, poco abituato alle iperboli. O meglio ancora un “paleo-libertario”, rappresentante di idee vicine all’anarco-capitalismo, secondo Le Grand Continent.
Il libertarismo è un filosofia politica nata negli Stati Uniti che difende una libertà individuale totale rispetto al potere dello stato. Milei, che ha un talento per la sintesi, riassume così la sua posizione: “Tra la mafia e lo stato preferisco la mafia, perché almeno ha dei codici e rispetta gli impegni presi, non mente ed è competitiva”.
Milei usa una comunicazione demagogica ma efficace: si fa riprendere con una motosega in mano promettendo un taglio alla spesa pubblica pari al 15 per cento del Pil, un elettroshock colossale, ed elenca i ministeri di cui vorrebbe sbarazzarsi: quello della cultura, dell’ambiente, della parità di genere.
La sua vittoria è senza dubbio un voto di protesta da parte della popolazione di un paese fallito. Oggi il 40 per cento degli argentini vive sotto la soglia di povertà, mentre l’inflazione è al 143 per cento e il governo non può ripagare i suoi debiti. Il voto per Milei è “una sorta di rivolta elettorale motivata dalla crisi economica e dal malcontento sociale crescente”, scrive Pablo Stefanoni, professore argentino e autore di un saggio intitolato ¿La rebeldía se volvió de derecha? (La rivolta passa da destra?).
Questo è stato chiaramente il grande punto debole dell’avversario di Milei al secondo turno, il ministro dell’economia Sergio Massa, un peronista di sinistra e responsabile del bilancio di un lungo regno che si conclude nel peggiore dei modi. Ma gli elettori hanno bocciato anche l’alternativa della destra classica, premiando un politico fuori dal sistema.
Milei ha conquistato consensi con una promessa di rottura radicale. Come già successo in altri paesi, ha vinto perché gli elettori hanno scelto una formula politica nuova, bocciando quelle che avevano già dimostrato la loro inefficacia. È un’avventura ad alto rischio.
I primi complimenti al vincitore argentino sono arrivati da Jair Bolsonaro, populista di estrema destra che ha guidato il Brasile dal 2019 al 2023, e naturalmente anche da Donald Trump. L’ex, e forse futuro, presidente degli Stati Uniti ha inviato un messaggio molto affettuoso a Milei: “Sono molto fiero di te”, ha scritto con un evidente senso di rivalsa.
In America Latina le reazioni sono state più tiepide. Lula, successore di Bolsonaro alla presidenza del Brasile, si è educatamente complimentato con il vincitore nascondendo a fatica la sua delusione. Il presidente colombiano di sinistra Gustavo Petro ha invece definito il risultato elettorale “triste per l’America Latina”.
Milei è certamente un personaggio atipico dalle idee eccentriche, ma non bisogna sottovalutare quello che rappresenta: la stanchezza degli elettori delusi, che non hanno esitato a cedere alle sirene di una rottura pericolosa invece che restare in una situazione di stallo. È una lezione universale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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