Perché la tregua tra Israele e Hamas sarà prolungata
Lunedì 27 novembre è il quarto e ultimo giorno della tregua decretata tra Israele e Hamas. Questo significa che il 28 novembre la guerra riprenderà? Probabilmente no. Ecco perché.
Nel corso dei primi tre giorni della tregua, quaranta ostaggi israeliani (donne e bambini) sono tornati nello stato ebraico, mentre un numero tre volte superiore di prigionieri palestinesi sono stati liberati. A questi bisogna aggiungere 35 tailandesi e un filippino, anch’essi rapiti il 7 ottobre e liberati separatamente (questo negoziato è stato gestito dall’Iran). Tra le persone liberate c’è anche un russo, “per omaggiare Vladimir Putin”, ha tenuto a precisare Hamas.
Un quarto scambio è previsto per il 27 novembre, mentre negli ultimi tre giorni, sempre in base ai termini dell’accordo, centinaia di camion carichi di aiuti sono entrati nella Striscia di Gaza, dove le condizioni umanitarie sono catastrofiche.
Cosa accadrà il 28 novembre, considerando che Hamas ha in custodia ancora più di 180 ostaggi? Dal 26 novembre tutti i canali di discussione sono aperti per prolungare la tregua e permettere la liberazione di altri ostaggi e altri prigionieri.
A tessere le fila di questa tela è soprattutto il Qatar. Un emissario qatariota è arrivato il 25 novembre in Israele con un volo speciale. Un fatto notevole, considerando che i due paesi non hanno rapporti diplomatici. Anche gli Stati Uniti sono molto attivi. Joe Biden è intervenuto personalmente il 25 novembre, quando l’accordo ha rischiato di saltare.
Ma ciò che pesa più di ogni altra cosa sulla bilancia emotiva è la mobilitazione dell’opinione pubblica israeliana per chiedere la liberazione degli ostaggi. La sera del 25 novembre centomila persone hanno manifestato nel centro di Tel Aviv in occasione del cinquantesimo giorno dopo gli attacchi del 7 ottobre. Sembra impossibile che il governo israeliano decida di riprendere le ostilità il 28 novembre se esiste ancora la possibilità di salvare altri ostaggi: l’opinione pubblica non lo accetterebbe.
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L’accordo firmato sotto l’egida del Qatar prevede che la tregua possa essere prolungata di 24 ore in caso di liberazione di altri dieci ostaggi. Hamas ha dichiarato di essere disponibile a farlo, cosa che è chiaramente nel suo interesse. Il movimento islamista ha infatti bisogno della tregua dopo i bombardamenti e mantiene nelle sue mani i militari israeliani catturati il 7 ottobre. Saranno oggetto di una trattativa separata, con un prezzo più elevato.
Il governo israeliano è contrario a un cessate il fuoco. Il 26 novembre Benjamin Netanyahu ha visitato le truppe a Gaza, indossando un giubbotto antiproiettile e un casco protettivo. Il primo ministro ha ribadito i tre obiettivi della guerra: recuperare tutti gli ostaggi, eliminare Hamas e impedire che Gaza torni a essere una minaccia per Israele. Ma la verità è che gli ostaggi sono stati liberati grazie alla tregua, non alla guerra.
A porte chiuse la partita si gioca tra israeliani e americani. Sul tavolo non c’è soltanto la ripresa della guerra, ma anche la ricerca di una soluzione politica al conflitto israelo-palestinese. Per Biden è un imperativo, per Netanyahu no.
Il governo israeliano reagisce con stizza a qualsiasi pressione per fermare la guerra. I primi ministri di Belgio e Spagna che hanno chiesto un cessate il fuoco sono stati violentemente rimbrottati. Questo nervosismo la dice lunga su quanto il momento sia decisivo per il proseguimento di una guerra che il resto del mondo non capisce più.
Traduzione di Andrea Sparacino.