La Repubblica Democratica del Congo (Rdc) ha tutte le potenzialità per diventare il motore economico del continente africano, ma da decenni le condizioni per realizzarle non esistono. Ora il rischio è che la situazione non cambi, anche dopo le elezioni del 20 dicembre.

Nella Rdc tutto è fuori misura, dalle dimensioni del paese al processo elettorale. In questo gigante francofono abitato da cento milioni di persone, grande come tutta l’Europa occidentale, il voto si svolgerà nel corso di una settimana: 44 milioni di elettori saranno impegnati in elezioni presidenziali, legislative e amministrative. I candidati sono più di centomila, di cui diciannove per la presidenza. Queste cifre danno l’idea della portata delle operazioni in uno stato in cui i problemi logistici, politici e militari si moltiplicano.

La Repubblica Democratica del Congo è tutto meno che una nazione povera. Nel paese si trovano minerali essenziali per la transizione energetica e la seconda foresta pluviale più grande del pianeta, dopo quella amazzonica, che rende la Rdc uno dei principali polmoni del mondo, con un potenziale energetico e agricolo enorme. Ma tutto questo non basta.

Il paese è un caso tipico di quello che l’agronomo René Dumont chiamava “cattivo sviluppo”. Le risorse non mancano, ma non sono sfruttate in modo corretto. L’elenco delle cause di questa situazione disastrosa è lungo: il dominio del Belgio; il re Leopoldo II che aveva trasformato il paese nella sua proprietà personale; il colonialismo predatore; la decolonizzazione fallita; il dramma dell’omicidio del primo ministro Patrice Lumumba; il lungo regno dittatoriale e corrotto del generale Mobutu Sese Seko; e l’instabilità cronica che dura fino ai giorni nostri, con leader che si preoccupano più di “servirsi” che di “servire”, per riprendere uno slogan di moda nel continente.

Invece di segnare un nuovo inizio, le elezioni rischiano di confermare questa instabilità e passare alla storia come un’occasione mancata. Il presidente uscente Félix Tshisekedi affronterà alcuni vecchi rivali come Moise Katumbi e Martin Fayulu. Quest’ultimo, secondo i suoi sostenitori, aveva vinto le contestate elezioni del 2018. Anche stavolta la contestazione dei risultati è dietro l’angolo.

C’è un uomo che si distingue nell’elenco dei candidati: Denis Mukwege, premio Nobel per la pace passato dall’attivismo per i diritti delle donne a una crociata per salvare il suo paese. Figlio di un pastore pentecostale, medico senza esperienza politica, probabilmente non ha il sostegno per realizzare le sue ambizioni.

Soprattutto bisogna tenere presente la guerra in corso nell’est del paese, con 120 gruppi armati responsabili di un disastro umanitario, e il ruolo di un potente vicino, il Ruanda, accusato dal presidente Tshisekedi di sostenere la milizia ribelle M23 nella provincia del Nord Kivu. Per non parlare dei tentativi del gruppo Stato islamico di insediarsi nel paese.

Per tutti questi motivi ci sono poche possibilità che il voto permetta alla Rdc di realizzare il proprio potenziale. Il resto dell’Africa e del mondo dovrebbe fare di tutto per aiutare il paese, ma in questo momento, purtroppo, non sembra essere una priorità per nessuno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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