Si chiama Michelle O’Neill, ha 47 anni e il 3 febbraio ha scritto una pagina storica diventando la prima ministra della provincia britannica dell’Irlanda del Nord. L’aspetto storico è dato dal fatto che O’Neill è vicepresidente del Sinn féin, partito repubblicano dalle radici cattoliche, storicamente favorevole alla riunificazione tra Irlanda e Irlanda del Nord, che per molto tempo è stato considerato il braccio politico dell’organizzazione militare Ira.
Mentre il mondo è dilaniato da guerre territoriali, identitarie e religiose, l’Irlanda del Nord supera uno dopo l’altro i molti ostacoli emersi dopo gli accordi di Belfast, o del venerdì santo, che 25 anni fa hanno messo fine a decenni di guerra civile tra repubblicani cattolici e unionisti protestanti.
Per rendersi conto della portata dell’evento basta ricordare che il padre di O’Neill era stato incarcerato per i suoi legami con l’Ira, mentre un suo cugino era stato ucciso dall’esercito britannico. Nel suo discorso inaugurale, O’Neill ha sottolineato che la generazione dei suoi genitori e quella dei suoi nonni non avrebbero mai immaginato uno scenario come quello attuale.
In Irlanda del Nord le divisioni non sono scomparse, ma sono gestite politicamente in base alla formula della divisione del potere sancita dagli accordi del venerdì santo, negoziati sotto l’egida di un mediatore statunitense, l’ex senatore democratico George Mitchell.
Così, insieme a O’Neill ha prestato giuramento anche la vice prima ministra unionista Emma Little-Pengelly. Mentre il padre di O’Neill era in prigione per i suoi legami con l’Ira, quello di Little-Pengelly veniva arrestato con l’accusa di aver cercato di comprare armi destinate ai gruppi paramilitari protestanti. Oggi le due donne condividono il potere senza rinunciare alle rispettive convinzioni.
O’Neill avrebbe dovuto insediarsi già nel 2022, dopo la vittoria elettorale senza precedenti del Sinn féin, che per la prima volta era arrivato in testa nelle elezioni nordirlandesi. Ma all’epoca il partito unionista Dup aveva boicottato le istituzioni per protestare contro gli accordi conclusi a Londra dopo la Brexit. La settimana scorsa, un voto del parlamento britannico ha messo fine al boicottaggio.
La questione dell’unità dell’Irlanda resta presente, anche se sullo sfondo. La nuova prima ministra ha detto che dovrà concentrarsi sui problemi economici e quotidiani, ripetendo a più riprese che rappresentano la chiave per la sopravvivenza dell’equilibrio attuale.
Allo stesso tempo, però, quando in settimana il governo britannico ha dichiarato che il tema della riunificazione irlandese non sarà affrontato “prima di diversi decenni”, O’Neill ha smentito Londra dichiarando in un’intervista televisiva che l’Irlanda è entrata in un “decennio decisivo”. O’Neill, tra l’altro, preferisce parlare di “Nord dell’Irlanda” invece che di “Irlanda del Nord”.
Al momento i sondaggi indicano che il 40 per cento degli elettori nordirlandesi è favorevole all’unione con il sud, un altro 40 per cento è contrario, mentre il 20 per cento è indeciso. Non esattamente una situazione che spinge a indire un referendum. Per il momento, comunque, gli accordi di pace reggono e la storia va avanti.
Dopo l’Irlanda, il senatore Mitchell era stato incaricato da Barack Obama di trovare una soluzione in Medio Oriente. Non ha funzionato, ma l’esempio irlandese dimostra che non bisogna mai perdere le speranze.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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