Il 26 marzo, ancora prima della proclamazione dei risultati ufficiali, il presidente francese Emmanuel Macron si è congratulato con il presidente eletto del Senegal, Bassirou Diomaye Faye, dichiarandosi “felice di lavorare con lui”.

Il messaggio di Macron, profondamente politico, va oltre le congratulazioni di rito nei confronti di un presidente straniero, mostrando una doppia volontà di distensione: da un lato elogia l’impresa democratica compiuta dal Senegal dopo settimane in cui il caos politico aveva fatto temere il peggio, dall’altro dimostra che la Francia ha cominciato a imparare dai fallimenti a ripetizione in Sahel.

La verità è che la vittoria di Bassirou Diomaye Faye ha preso alla sprovvista la Francia. Il vincitore al primo turno (con il 57 per cento dei voti) si è presentato come il candidato di rottura nei confronti delle élite politiche che dominano il Senegal dall’indipendenza nel 1960, ma anche rispetto all’influenza francese che ha plasmato il paese.

Nella sua prima dichiarazione, il presidente eletto ha voluto sottolineare che il Senegal resterà un “alleato sicuro e affidabile” per i partner “rispettosi”. Quest’ultimo aggettivo ha una grande importanza e appare come un avvertimento discreto.

Bassirou Diomaye Faye ha scelto la via della prudenza, ma la sua base elettorale chiede cambiamenti radicali. Il presidente eletto fa parte del partito Pastef, di cui ha sostituito il leader Ousmane Sonko, che non poteva candidarsi. Oggi il Pastef si iscrive in un panafricanismo dalle forti tinte sovraniste.

A questo punto una ridefinizione dei rapporti tra Senegal e Francia sembra scontata. Non è una questione da poco, in un paese che ha rappresentato una delle vetrine dell’influenza francese in Africa. Basti pensare che il primo presidente fu Léopold Sedar Senghor, poeta uscito dall’École normale supérieure francese, e quello uscente Macky Sall è stato molto vicino a Macron. Parigi avrebbe senz’altro preferito qualcuno che assicurasse continuità, dunque oggi ha tutto l’interesse a non mostrare tentennamenti: nessuno deve avere l’impressione che la Francia non apprezzi il risultato delle urne.

Per questo motivo Macron ha teso la mano al nuovo presidente. È una scelta apprezzabile. Negli ultimi anni, infatti, la Francia è stata costretta a lasciare il Mali, il Burkina Faso e il Niger a causa di cambiamenti politici nei paesi del Sahel. Spesso Parigi non ha capito la crescita del sentimento antifrancese e si è impuntata in modo irragionevole.

Con il Senegal, la cui transizione politica rispetta le regole democratiche, la Francia deve assolutamente cercare la via del dialogo. Il paese africano potrebbe diventare il laboratorio di nuovi rapporti, sempre che i suoi nuovi dirigenti lo desiderino. Il nuovo governo potrebbe rimettere in discussione la presenza di una base militare francese a Dakar, che non ha più molto senso, o perfino il franco cfa, moneta comune dell’Africa francofona.

Lo scenario peggiore sarebbe quello in cui questa esperienza politica, inedita in Senegal, dovesse infrangersi contro i problemi economici e sociali, caso in cui la Francia potrebbe diventare un facile capro espiatorio. Parigi, insomma, ha tutto l’interesse a sperare in un successo del nuovo governo. Oggi la Francia non decide più chi governa il Senegal. È il momento di prenderne atto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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