Francia-Serbia-Ungheria: trovate l’intruso. Parigi, come potrete immaginare, non ha minimamente apprezzato il fatto di essere stata messa nello stesso calderone della Serbia e dell’Ungheria, due alleati della Russia e clienti della Cina che completano l’itinerario del primo viaggio dopo il covid in Europa del presidente cinese Xi Jinping.

La scelta è tanto più imbarazzante se consideriamo che, due dopo giorni di diplomazia ovattata in Francia, Xi è atteso a Belgrado per un anniversario molto simbolico: 25 anni fa, il 7 maggio del 1999, in piena guerra del Kosovo, cinque bombe sganciate da aerei statunitensi colpivano l’ambasciata cinese di Belgrado, uccidendo tre giornalisti originari del paese.

All’epoca l’incidente aveva provocato un aumento della spinta nazionalista in Cina, mai del tutto scomparsa. Gli Stati Uniti si erano giustificati parlando di mappe non aggiornate, ma l’opinione pubblica cinese pensa ancora oggi che quell’attacco sia stato voluto. Anche perché due anni dopo, nel 2001, un nuovo incidente tra un aereo spia americano e un jet cinese ha provocato la morte del pilota cinese.

Nel contesto della nuova guerra fredda sinoamericana, Xi si trova a Belgrado per ribadire un concetto: gli Stati Uniti sono la principale minaccia per la pace mondiale.

Questo punto, naturalmente, è stato meno sbandierato durante la visita in Francia, ma era comunque presente a livello sotterraneo. A Parigi, infatti, Xi ha lodato il sentimento d’indipendenza della Francia. Nei confronti degli americani, sottinteso. Il riferimento al generale De Gaulle è stato una sorta di conferma di questo messaggio in realtà piuttosto trasparente.

Ma la logica di Xi si scontra con la realtà del suo sostegno alla Russia di Putin, colpevole di aver invaso l’Ucraina. Dal punto di vista dell’Europa questo appoggio smentisce la tesi cinese, perché gli europei vivono la guerra in Ucraina come una minaccia esistenziale, cosa che evidentemente Pechino fatica a capire.

Il messaggio di Xi sarà senz’altro accolto più favorevolmente in Serbia e nella terza tappa, l’Ungheria di Viktor Orbán. Entrambi i governi in questione sono chiaramente vicini alla Russia. L’Ungheria, paese dell’Unione europea, incarna anche un fronte di dissenso permanente all’interno dei 27 dell’Unione europea.

Qualche anno fa la Cina era riuscita a sbarcare nel vecchio continente creando il format 17+1, ovvero un’associazione che comprendeva 17 paesi europei (all’interno e all’esterno dell’Unione) pronti a dialogare con la Cina. Da allora, però, diversi stati baltici e dell’Europa centrale hanno fatto marcia indietro.

Visitando Serbia e Ungheria, due stati che presto saranno collegati da una ferrovia finanziata dalla Cina, Xi dimostra di non aver rinunciato a coltivare amicizie particolari in Europa, molto più strette rispetto a quella con la Francia.

Le principali potenze europee osservano con sospetto questi approcci, temendo che la Cina voglia seminare discordia per influenzare l’Europa. La sfiducia è d’obbligo, perché non si può proclamare “un’amicizia senza limiti” con Vladimir Putin senza spaventare un’Europa che si sente minacciata da Mosca. Andando a Belgrado e Budapest dopo Parigi, Xi dimostra di non averlo capito.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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