Chiariamolo subito: le esplosioni di violenza degli ultimi giorni in Nuova Caledonia, un arcipelago francese dell’oceano Pacifico, non sono dovute alle ingerenze straniere. Gli interventi di altri paesi, infatti, non possono essere un capro espiatorio per problemi che riguardano prima di tutto il territorio e il fallimentare processo politico interno. I disordini sono dovuti a un progetto di riforma costituzionale contestato dal movimento indipendentista e approvato dall’assemblea nazionale francese.
Detto questo, di recente la Nuova Caledonia è stata innegabilmente al centro di una grande attenzione da parte di diverse potenze straniere. La Cina è molto attiva nella regione, mentre altri paesi regolano i loro conti con la Francia per ragioni che non hanno niente da spartire con il destino dei canachi (gli abitanti originari della Nuova Caledonia) o con le ricchezze del sottosuolo caledoniano.
È il caso dell’Azerbaigian, repubblica ex sovietica che ha un ruolo inatteso nella vicenda. Il 16 maggio Gérald Darmanin, ministro francese dell’interno e dei territori d’oltremare, ha citato direttamente il paese caucasico. Ma cosa c’entra l’Azerbaigian con la Nuova Caledonia? Baku è lontana più di 13mila chilometri da Nouméa e non ha alcun legame con il territorio. L’Azerbaigian ha semplicemente scelto di attaccare la Francia con il pretesto di combattere il colonialismo, quando la vera ragione è il sostegno accordato da Parigi all’Armenia (compresa la fornitura di armi) nel conflitto del Caucaso. In questo contesto nessun colpo è proibito.
Baku ha stretto contatti con gli indipendentisti canachi, una mossa sorprendente. Inoltre, la Francia sostiene di avere le prove del fatto che il governo azero abbia messo in piedi una vera e propria guerra di disinformazione. Viginum, l’organismo dello stato francese che si occupa di sorvegliare internet, è stato molto attivo sull’argomento, e oggi punta il dito contro l’Azerbaigian. La Francia, intanto, si interroga sul possibile ruolo della Russia.
In tutto questo non c’è nulla di stupefacente: gli attori della guerra ibrida moderna sono sempre in agguato, pronti a gettare benzina sul fuoco quando ne hanno la possibilità. La Francia è già vittima di questo meccanismo in Sahel, dove la Russia e la Turchia non hanno certo creato il sentimento antifrancese ma lo hanno sicuramente amplificato.
E la Cina? Qui la questione diventa più complicata: Pechino ricopre un ruolo di primissimo piano nel Pacifico, dove si svolge parte della battaglia con gli Stati Uniti in una lotta che si combatte isola per isola.
All’inizio di maggio l’elezione del primo ministro filocinese Jeremiah Manele nelle isole Salomone è stato percepito come una vittoria di Pechino, mentre a gennaio le isole Nauru hanno rotto i rapporti con Taiwan, avvicinandosi alla Cina e segnando un altro successo per il governo cinese. Anche gli Stati Uniti sono onnipresenti nella regione, come dimostra la nascita dell’Aukus, l’alleanza militare con l’Australia creata nel 2021 sulla scia dell’annullamento di un contratto per la vendita di sottomarini francesi a beneficio di quelli nucleari americani.
La Nuova Caledonia è una preda molto allettante, con le sue immense riserve di nickel (minerale essenziale per la fabbricazione di batterie elettriche) e la sua possibile indipendenza. Ma in questa crisi la Cina si è limitata a rilanciare la propaganda. Pechino, come sempre, pensa a lungo termine.
Un motivo in più per non commettere errori nella gestione della vicenda caledoniana. Gli squali sono all’erta, e non faranno sconti.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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