Senza voler per forza scovare un grande complotto o trovare una spiegazione semplice, non possiamo restare indifferenti davanti all’accumulo di crisi nel mondo: le guerre in Ucraina e a Gaza, l’avanzata dell’estrema destra, la polarizzazione dei dibattiti politici, l’aggressività della Russia e le tensioni con la Cina in Asia, solo per citarne alcune. Si tratta di una coincidenza o esiste un denominatore comune?

L’anno scorso Vladimir Putin e Xi Jinping avevano scambiato alcune parole informali davanti alle telecamere in occasione di uno dei loro numerosi incontri. Quel giorno il numero uno cinese aveva detto al suo omologo russo: “Nel mondo viviamo cambiamenti mai visti negli ultimi cento anni, e li determiniamo insieme”.

Quella frase sibillina ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro, perché insinuava che il tandem sinorusso avesse un ruolo determinante negli stravolgimenti globali. Di sicuro evidenziava un’ambizione, quella di sfruttare i cambiamenti per creare un ordine internazionale che premiasse Mosca e Pechino. La stessa posta in gioco si ritrova nelle crisi attuali.

Viviamo all’interno di un ordine internazionale che è stato plasmato alla fine della seconda guerra mondiale e che porta il marchio dell’occidente. Dalla fine di quel tragico conflitto il mondo ha vissuto diversi cambiamenti: la decolonizzazione, la fine del comunismo sovietico, la globalizzazione economica, l’emergere delle potenze del sud. Eppure l’ordine mondiale rimaneva lo stesso. Oggi, invece, sono evidenti diverse crepe.

Questa situazione risulta chiara se osserviamo le relazioni internazionali, con il tentativo di russi e cinesi di cambiare i rapporti di forza, ognuno a modo suo. Lo stesso discorso vale se prendiamo in esame le potenze emergenti come Cina, Brasile, India o Arabia Saudita, che chiedono un posto più importante al tavolo delle decisioni, in alcuni casi mostrando velleità di egemonia.

L’analisi si complica ulteriormente se includiamo le crisi nazionali, come quella che ha colpito la Francia e altri paesi con l’ascesa dell’estrema destra. Ma anche in questo caso possiamo scorgere la fine di un ciclo.

Una parte delle crepe che emergono nella nostra società e in quella degli altri paesi occidentali è il frutto di decenni di globalizzazione mal gestita. Le delocalizzazioni che hanno prodotto deserti industriali, le disuguaglianze sociali e regionali che ritroviamo sulle mappe elettorali e un sentimento di abbandono e declino nonostante una realtà globale positiva hanno già prodotto la Brexit e il primo trionfo di Donald Trump, e sono la causa della situazione attuale in Francia.

La conclusione di questo rapido giro del mondo è che siamo nel bel mezzo di un cambiamento epocale: fine del mondo occidente-centrico del 1945, fine della globalizzazione gloriosa degli ultimi decenni e fine dell’illusione proposta da democrazie ingiuste. Queste crisi sono al contempo nazionali e globali, così come lo saranno le soluzioni.

Non è un caso se l’anno scorso i polacchi e i brasiliani siano usciti dalla loro impasse populista e i britannici stiano cambiando direzione. Prima di tutto bisogna intendersi sulla diagnosi e sulla cura. In Francia potremmo essere aiutati a farlo da un imminente elettroshock elettorale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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