Come tutti i paesi del mondo, anche la Cina osserva attentamente la campagna per le elezioni presidenziali statunitensi, chiedendosi quale risultato sia più auspicabile per i suoi interessi. La differenza con il resto del pianeta è che Pechino sa bene che i repubblicani e i democratici sono d’accordo su un unico punto, ovvero la necessità di contenere l’avanzata cinese impedendo al paese rivale di diventare la prima potenza globale.

Jake Sullivan, consulente per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, si trova in visita a Pechino, dove ha ottenuto un incontro con il presidente Xi Jinping per affrontare il tema delle elezioni. Secondo gli statunitensi, il 29 agosto Sullivan, uomo di fiducia di Joe Biden, ha garantito al numero uno cinese che se Kamala Harris verrà eletta, gestirà i rapporti con la Cina in modo responsabile. Il messaggio sottinteso è chiaro: con Donald Trump un esito di questo tipo sarebbe meno certo.

Essere “responsabili”. A questo si riduce la posta in gioco degli incontri tra Cina e Stati Uniti. Ormai da due anni Washington e Pechino cercano di definire un “codice di condotta”, un modo di contrastarsi senza farsi la guerra. In questi due anni, però, le tensioni hanno continuato a crescere su alcuni temi chiave della regione: Taiwan, la tecnologia e il mar Cinese meridionale.

Tra i due giganti del ventunesimo secolo non c’è alcuna fiducia. La Cina vede crescere l’ostilità statunitense, che assume la forma di restrizioni nel campo della tecnologia, dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale. Pechino osserva con rammarico anche la costruzione di una rete di alleanze statunitensi in Asia, l’apertura di nuove basi e un sostegno sempre più dichiarato a un presidente taiwanese considerato “indipendentista”.

Sul fronte opposto le accuse sono altrettanto pesanti. Appena pochi giorni fa un aereo cinese è entrato per la prima volta nello spazio aereo giapponese, provocando il decollo dei jet nipponici. Gli incidenti gravi si moltiplicano soprattutto nel mar Cinese meridionale, tra la marina cinese e quella filippina a proposito del possesso di atolli che sono diventati simboli di sovranità. Le Filippine hanno stipulato un trattato di difesa con gli Stati Uniti, ed è in questo contesto che oggi emerge il pericolo maggiore.

Ma l’interrogativo centrale riguarda la possibilità che la Cina e gli Stati Uniti riescano a convivere in un mondo rimodellato. Nel discorso pronunciato dopo l’investitura, Harris ha dichiarato: “sarà l’America, e non la Cina, a vincere la battaglia del ventunesimo secolo”. E così torniamo alla questione cruciale: come prevenire la guerra?

Da queste considerazioni emerge l’importanza del dialogo. Finora bisogna ammettere che i due incontri tra Joe Biden e Xi Jinping negli ultimi due anni non hanno permesso di fare passi avanti. Un terzo incontro è in programma a novembre in Perù, a margine di un vertice Asia-Pacifico.

La data è significativa. Quando Biden e Xi si ritroveranno, infatti, conosceranno già il nome del vincitore delle presidenziali del 5 novembre. In un momento segnato da una tale instabilità è importante evitare malintesi e mosse avventurose.

A prescindere dal nome del prossimo presidente, il rapporto tra Cina e Stati Uniti non è vicino a una fase di distensione. In ballo c’è l’organizzazione dell’ordine mondiale, mentre si moltiplicano le guerre e le rivalità. In questo senso né Washington né Pechino hanno la minima intenzione di arretrare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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