Sembra sia passato un secolo. All’inizio del 2019 gli algerini scendevano in piazza per protestare contro il possibile quinto mandato di Abdelaziz Bouteflika, talmente indebolito che al suo posto, sul palco dei comizi elettorali, c’era un ritratto. Il capo di stato algerino si era dimesso a causa della pressione popolare, aprendo la strada all’elezione da un suo ex primo ministro Abdelmadjid Tebboune. La popolazione aveva continuato a chiedere un cambiamento reale, ma senza risultati. L’hirak, il movimento, alla fine si è progressivamente spento. Il 7 settembre Tebboune si ripresenterà alle presidenziali. Il cambiamento dovrà attendere.

Nel 2019 in Tunisia lo slancio della rivoluzione del 2011 aveva ceduto il passo al disincanto e al caos politico. L’unico pilastro stabile, il presidente democraticamente eletto Beji Caid Essebsi, era morto in estate, a poche settimane dalla fine del suo mandato. Un professore di diritto costituzionale poco conosciuto, Kais Saied, era stato eletto presidente grazie al sostegno dei giovani che non sopportavano più una classe politica del tutto screditata. Il mese prossimo anche Saied si ripresenterà alle elezioni presidenziali.

Questi due appuntamenti elettorali hanno in comune la totale assenza di suspense. Tebboune (78 anni) e Saied (66 anni) sono sostanzialmente certi della vittoria, mentre in entrambi i paesi la società, in passato vibrante, sembra anestetizzata.

I contesti e le storie sono diversi, ma il risultato è lo stesso: le forze del cambiamento hanno perso e la stagnazione, per non dire la regressione, ha trionfato. In Algeria e Tunisia l’assenza di alternative e una dose abbondante di repressione hanno trasformato le elezioni in rituali scontati.

In Algeria Tebboune si presenta come il salvatore di un sistema che alla fine dell’epoca Bouteflika era sull’orlo del baratro, e pazienza se ha fatto parte di tutti i governi nell’ultimo quarto di secolo. Il presidente ha messo le mani su alcuni settori dove l’affarismo era troppo visibile, ma ha lasciato intatto il sistema. I suoi oppositori oggi sono imprigionati, come il giornalista Ihsane el Kadi, capo del sito indipendente Maghreb Émergent, condannato a cinque anni di carcere duro con una sentenza che sembra piuttosto arbitraria.

La stessa mano pesante si ritrova in Tunisia, con l’incarcerazione di giornalisti e oppositori politici. In estate l’arresto di Sihem Bensedrine, figura stimata della società civile tunisina, è stato interpretato come un avvertimento. Il presidente Saied – nel 2021 applaudito da una popolazione sfinita dal caos – non ha saputo fare sua l’aspettativa di rinnovamento. Oggi nel paese dominano lo stallo politico e la crisi economica. Nessuno capisce più in che direzione stia andando la Tunisia di Saied.

Il punto in comune tra i due paesi è una delusione diffusa che spinge i giovani a emigrare verso l’Europa, un’Europa che non sa ancora come costruire un sistema di cooperazione e sviluppo con l’altra sponda del Mediterraneo, al di là di illusorie barricate per arginare l’immigrazione. A nord come a sud emerge la stessa mancanza di idee, dove invece potrebbe esserci una comunità di destini.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it