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Le due visioni del mondo di Harris e Trump nel confronto in tv

Filadelfia, Pennsylvania, 10 settembre 2024. Donald Trump e Kamala Harris durante il dibattito trasmesso dalla Abc. (Brian Snyder, Reuters/Contrasto)

Ieri si sono affrontate due Americhe. Sui principali temi della politica interna, ovviamente, ma anche su quella estera. Si sono viste molte accuse e approssimazioni, ma in definitiva a emergere sono state due visioni del ruolo della potenza statunitense nel mondo. Nessuna sorpresa, poca sostanza, ma come osservatori esterni sappiamo cosa aspettarci a seconda di chi vincerà il 5 novembre.

Donald Trump ha fatto quello che sa fare, basandosi sulla sua logica commerciale: “Voi pagate e noi vi proteggiamo”. Ha chiamato in soccorso un solo leader straniero: il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Può sembrare assurdo che il candidato alla guida della prima potenza mondiale abbia un solo sponsor, il leader di un paese europeo marginale nel proprio continente, con un approccio illiberale alla politica e senza paragoni nei suoi legami con Russia e Cina. Questo la dice lunga sulla sua visione del mondo.

Harris incarna la continuità, mentre Donald Trump ci sta portando verso l’ignoto, o piuttosto verso un ritorno al caos creativo praticato quando era alla Casa Bianca; tra i suoi scambi di “lettere d’amore” con il nordcoreano Kim Jong-un, i suoi battibecchi con Angela Merkel e il suo debole per Vladimir Putin.

L’attuale vicepresidente, Kamala Harris, è ovviamente la candidata preferita dalla maggior parte degli europei e degli alleati degli Stati Uniti nel mondo. E per una buona ragione: presenta una visione tradizionale del ruolo del suo paese, sottolineando l’importanza di alleanze come la Nato e la necessità di affrontare regimi autoritari e antidemocratici.

Entrambi i candidati sono stati poco incisivi sulle crisi attuali. Sull’Ucraina o su Gaza, né Trump né Harris hanno offerto nuovi spunti su cosa farebbero in caso di vittoria il 5 novembre. Ma anche in questo caso le differenze sono significative.

Trump ha ribadito, senza fornire il minimo elemento, che risolverebbe queste due grandi crisi in 24 ore, ancora prima di entrare alla Casa Bianca. Come? Ha la garanzia degli pseudo uomini forti: la loro sola presenza è sufficiente. Non è molto, ed è preoccupante.

Harris, invece, continuerà a sostenere l’Ucraina e ha espresso una posizione equilibrata su Israele: lo stato ebraico ha il diritto di difendersi, ma la guerra deve finire e i palestinesi devono avere un loro stato. Come riuscirà a fare ciò che Joe Biden non riesce a fare? Non l’ha detto e probabilmente non ha la risposta.

L’unica certezza, come dimostrano le personalità e il passato dei due candidati, è che Trump non prova altro che disprezzo per il resto del mondo, che vuole far pagare. “Tasse, tasse, tasse”, queste sono le uniche parole sulle sue labbra. Harris lavora per la leadership americana nel mondo e per le alleanze. Vista dall’Europa, la scelta è chiara. Tuttavia, non dimentichiamolo, sono gli statunitensi a votare, usando altri criteri. E non è detto che abbiano visto questo dibattito decisivo nello stesso modo in cui l’abbiamo visto noi.

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Cosa succede negli Stati Uniti. A cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
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