Il G20 prima della presidenza distruttiva di Trump
In un mondo diviso e straziato dalle guerre c’è ancora un organismo al cui interno le potenze rivali si incontrano e si parlano. Non si tratta delle Nazioni Unite, ma del G20, riunito dal 18 novembre a Rio de Janeiro, in Brasile.
Le Nazioni Unite esistono ancora e dovrebbero ricoprire il ruolo di piattaforma per il dialogo. Tuttavia l’abuso del diritto di veto e l’incapacità di riformare il Consiglio di sicurezza hanno indebolito la legittimità e l’efficacia dell’organizzazione fondata dopo la seconda guerra mondiale.
Il G20 è più recente e ha il merito di essere globalmente più rappresentativo ed egualitario. Tutti i paesi sono uguali – anche se alcuni sembrano più uguali di altri – e ogni continente è rappresentato, diversamente da quanto succede con i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
In un momento in cui l’ordine costruito nel 1945 fa acqua da tutte le parti a causa delle guerre, delle rivalità tra potenze e delle rivendicazioni degli esclusi dal sistema attuale, tutto il mondo ha interesse a proteggere il G20, in attesa di qualcosa di meglio.
L’Onu sta vivendo lo stesso destino toccato alla Società delle nazioni, fondata dopo la prima guerra mondiale. L’organizzazione non aveva saputo impedire la proliferazione dei pericoli negli anni trenta ed era stata cancellata dal secondo conflitto mondiale, cedendo il passo a un’Onu dotata di poteri maggiori.
Oggi, a sua volta, l’Onu si dimostra incapace di scongiurare le guerre. In Ucraina come in Medio Oriente, in Sudan o nella Repubblica Democratica del Congo, le catastrofi si susseguono senza che le Nazioni Unite possano evitarle o anche rallentarle. Solo le organizzazioni specializzate come l’Alto commissariato per i rifugiati o il Programma alimentare mondiale hanno un certo peso, ma il cuore politico non batte più.
Come cambiare l’ordine mondiale rendendolo più giusto senza passare dalla guerra? Questa, in definitiva, è la posta in gioco di un momento estremamente delicato. L’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti costituisce evidentemente il nuovo fattore di questa ricerca di un equilibrio mondiale, e si annuncia devastante. Il nazionalismo di cui è impregnato il discorso di Trump anticipa il ritorno di un’America onnipotente che impone la propria legge. Il presidente eletto non crede al multilateralismo, ma privilegia gli scambi transazionali e i rapporti di forze.
Il vertice di Rio de Janeiro del G20 è dunque l’ultimo appuntamento diplomatico prima dell’avvento della presidenza distruttiva di Trump e di un atteso inasprimento dei rapporti internazionali: sul clima, sul commercio, sulla sicurezza o sul rispetto del diritto internazionale.
Il pericolo che scaturisce da degli Stati Uniti aggressivi è quello di spingere i paesi del sud tra le braccia di chi si presenta come un’alternativa, a cominciare dalla Cina e dai Brics, che costruiscono istituzioni parallele. Salvare la potenza statunitense a rischio di dividere ancora di più il pianeta sarebbe una scelta potenzialmente nefasta. È per questo che il G20 mantiene la propria utilità, offrendo al mondo un’ultima per evitare di disfarsi. Ma per quanto tempo sarà ancora così?
(Traduzione di Andrea Sparacino)