In Libano il rumore delle armi non è ancora del tutto cessato: il 28 novembre Israele ha bombardato una postazione di Hezbollah nel sud del paese, prima violazione del cessate il fuoco decretato mercoledì mattina. Tuttavia gli sguardi del mondo sono già puntati altrove, verso due paesi che si trovano a loro volta nell’occhio del ciclone: la Siria e l’Iran.
Nella sua dichiarazione trasmessa in tv la sera del 26 novembre per annunciare la conclusione dell’accordo sul Libano, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha scoperto le carte: lo stato ebraico vuole avere la possibilità di concentrarsi sull’Iran, e la battaglia contro la sua influenza coinvolge inevitabilmente la Siria di Bashar al Assad.
Per Israele l’obiettivo è impedire a Hezbollah di ricostruire il proprio arsenale militare, in parte distrutto durante le ultime settimane di bombardamenti a tappeto. Le filiere del transito di armi e dei componenti dei missili assemblati nelle strutture clandestine di Hezbollah passano dalla Siria.
Israele bombarda regolarmente obiettivi in territorio siriano legati all’Iran e a Hezbollah. Poche ore prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, l’aviazione israeliana ha distrutto tre varchi di passaggio tra la Siria e il Libano, lanciando un messaggio chiaro: Israele non esiterà a rifarlo, se lo ritiene necessario.
Netanyahu ha dichiarato che “Assad sta giocando col fuoco”. Sicuramente vale la pena prenderlo in parola. La sovranità siriana non ha un grande peso per Israele, anche perché la Siria è ancora devastata dalla guerra civile. Questa settimana diversi gruppi jihadisti, strumentalizzati dalla Turchia, sono arrivati alle porte di Aleppo, segno che le braci della guerra civile non sono affatto spente.
Netanyahu, tra l’altro, ha avuto un contatto con Vladimir Putin (un evento raro dopo il 7 ottobre) nel tentativo di impedire che il porto siriano di Lattakia, dove si trova una base navale russa, possa essere utilizzato a vantaggio di Hezbollah.
Resta dunque l’Iran, che esce indebolito dal conflitto regionale a vari livelli in corso ormai da quattordici mesi. Teheran è evidentemente il “pezzo grosso” dell’equazione mediorientale, soprattutto alla vigilia dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, che da sempre sostiene di voler esercitare una “pressione massima” sull’Iran.
Il 26 novembre Netanyahu ha ribadito di voler impedire all’Iran di costruire l’arma nucleare. I due confronti diretti del 2024 tra Iran e Israele hanno riguardato soltanto marginalmente gli impianti nucleari iraniani, anche grazie all’opposizione dell’amministrazione Biden.
Cosa accadrà con Trump? Buona parte delle incertezze attuali riguarda le intenzioni di Netanyahu nei confronti dell’Iran e la “copertura” che potrebbe ottenere dal futuro presidente americano. Trump è davvero pronto a dare il via libera agli attacchi israeliani contro il nucleare iraniano, a rischio di essere trascinato in un’escalation? E cosa ne pensano i sauditi, alleati degli Stati Uniti che di recente hanno tentato un riavvicinamento con Teheran?
L’Iran, dopo aver perso parte della propria influenza regionale a causa dei colpi subiti da Hezbollah e Hamas, vuole apparire conciliante, senza dubbio perché il rapporto di forze non gli è più favorevole. Ma è altrettanto vero che il regime intende mantenere la possibilità di diventare una potenza nucleare sulla scia della Corea del Nord, una minaccia che Netanyahu giudica “esistenziale” per Israele.
L’accordo sul Libano non segna la fine del conflitto in Medio Oriente. Al contrario, potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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