È la guerra che non ci aspettavamo, scoppiata senza avvisaglie in un contesto mediorientale già saturo di conflitti e vittime. Non appena il cessate il fuoco in Libano è entrato in vigore, ecco che si è risvegliata la guerra civile siriana. In tre giorni, e senza incontrare grandi resistenze, formazioni ribelli diverse hanno assunto il controllo di Aleppo, seconda città più grande della Siria, nel nord del paese. I ribelli hanno poi proseguito in direzione di Hama, più a sud.
Alcuni video verificati mostrano il loro ingresso nelle città abbandonate dall’esercito siriano. In uno si vedono i veicoli militari siriani in fuga a grande velocità su un’autostrada. Il 1 dicembre l’aviazione siriana e quella russa sono intervenute per frenare l’avanzata dei ribelli.
La sorpresa è stata totale, soprattutto perché si tratta di Aleppo, città che le forze governative, appoggiate dall’aviazione russa, avevano impiegato anni a liberare dai ribelli, nel 2016. All’epoca i ribelli avevano invaso solo una parte della città, mentre stavolta l’hanno conquistata per intero.
Questa offensiva, che nella regione ha avuto l’effetto di un elettroshock, solleva diverse domande. La prima: chi sono i ribelli? Al centro dell’offensiva c’è il gruppo armato Hayat tahrir al Sham, conosciuto con le sue iniziali Hts. Fino al 2016 era la costola siriana di Al Qaeda, guidata da Mohammed al Jolani, che però ha rotto i legami con la formazione principale e si è radicata nel territorio, controllando con il pugno di ferro la regione di Idlib, nel nordovest della Siria, ultima roccaforte dei jihadisti e dei ribelli dopo la sconfitta subita per mano del regime di Bashar al Assad e dei suoi alleati.
Gli uomini dell’Hts sono affiancati da altri gruppi, tra cui l’Esercito siriano libero, formazione ribelle storica che si oppone ad Assad e può contare sull’appoggio della Turchia.
Nei video che circolano online si vedono i combattenti ribelli con uniformi nuove, armi pesanti e veicoli corazzati, a testimonianza di un alto stato di preparazione e di un sostegno importante dall’estero. Gli sguardi sono rivolti verso la Turchia, sempre attiva in questa parte della Siria, anche per contrastare i curdi siriani e turchi.
Ma perché i ribelli hanno deciso di entrare in azione proprio ora? La spiegazione potrebbe essere legata alla guerra condotta da Israele, che ha considerevolmente indebolito Hezbollah e l’influenza iraniana, due elementi chiave del potere di Assad. Il terzo “padrino” del regime siriano, la Russia, ha evidentemente altro a cui pensare.
Questa nuova situazione regionale ha permesso, se non addirittura motivato, l’offensiva, che ha complicato ulteriormente uno scacchiere già problematico. Possiamo credere che oggi i sostenitori di Assad abbiano i mezzi e la volontà di salvare di nuovo Damasco? Per quanto riguarda Israele, davvero un cambiamento al vertice in Siria è auspicabile, considerando che lo stato ebraico conosce ormai alla perfezione la dinastia Assad dopo averla osservata per più di cinquant’anni?
In questo momento l’attività diplomatica è frenetica. Il 1 dicembre il capo della diplomazia iraniana si trovava a Damasco, mentre il principe ereditario saudita era negli Emirati Arabi Uniti e si prepara a incontrare il presidente francese Emmanuel Macron in patria, per una visita che avrebbe dovuto essere incentrata sul Libano ma in cui inevitabilmente si parlerà anche di Siria.
Il Medio Oriente, che già prima era in crisi, ora è in ebollizione. Questa guerra nella guerra obbliga tutti gli attori coinvolti a rivedere le proprie strategie e a chiedersi quale sia lo sviluppo più auspicabile. La destabilizzazione avviata un anno fa sta riservando diverse sorprese.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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