È la vendetta più audace compiuta finora dall’Sbu, i servizi di sicurezza ucraini. All’alba del 17 dicembre il generale Igor Kirillov, capo della divisione per le armi chimiche e batteriologiche dell’esercito russo, è stato assassinato a Mosca, in un atto di guerra che colpisce al cuore l’apparato militare russo.
Kirillov stava uscendo di casa alle sei del mattino in compagnia di un collaboratore, quando entrambi sono stati uccisi sul colpo dall’esplosione di un monopattino elettrico su cui era stata piazzata una bomba. Al momento non è chiaro in che modo la detonazione sia stata telecomandata.
Di sicuro c’è che l’attentato porta la firma dell’Sbu. I servizi di sicurezza ucraini hanno confermato di aver organizzato l’omicidio. Alla vigilia, tra l’altro, avevano pubblicato la foto di Kirillov, accusandolo di essere responsabile dell’uso di agenti chimici proibiti sul campo di battaglia, che ha causato il ricovero in ospedale di circa duemila soldati ucraini.
L’uso di armi chimiche è vietato dai trattati internazionali, siglati dopo l’orrore della prima guerra mondiale. Il regime siriano di Bashar al Assad era noto per averli usati contro la popolazione civile nella più completa impunità.
Perché l’Ucraina ha scelto di reagire con un attentato? I motivi sono due: il primo è che l’esempio siriano dimostra che è impossibile far condannare un paese che viola il diritto internazionale se è protetto dal veto di, o se è, un membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il secondo è che l’Ucraina vuole a ogni costo portare la guerra nel cuore della società russa, in modo che anche la popolazione russa ne subisca gli effetti in un momento in cui le città ucraine sono bombardate quotidianamente dai missili e dai droni di Mosca.
Di recente l’esercito ucraino ha moltiplicato l’uso di droni contro le infrastrutture russe (a volte anche molto lontane dai propri confini) e ha ottenuto l’autorizzazione degli statunitensi a usare i loro missili a medio raggio per colpire obiettivi militari in Russia. Negli ultimi due anni, inoltre, i servizi di sicurezza di Kiev hanno portato a termine diversi attentati mirati.
Le prime vittime sono stati gli agenti della propaganda russa. Nel 2022 Darya Dugina, figlia dell’ideologo ultranazionalista Aleksandr Dugin, è stata uccisa da un’autobomba. Tra i bersagli colpiti ci sono stati anche esperti militari, ma in tre anni di guerra Kiev non aveva mai eliminato qualcuno che fosse così in alto nella gerarchia di potere russa.
Mosca ha promesso una rappresaglia rapida, ma il danno ormai è fatto. I servizi di sicurezza ucraini hanno dimostrato di poter colpire un alto ufficiale nel cuore della capitale russa. La paura, in quest’ottica, diventa un’arma di vendetta e pressione.
È evidente che in questo momento entrambi gli schieramenti stanno alzando la posta in attesa dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, che ha dichiarato più volte di voler forzare l’avvio di un negoziato. In difficoltà sul fronte orientale, l’Ucraina non è ancora disposta ad arrendersi.
Dalla prospettiva degli occidentali un assassinio a Mosca è più difficile da accettare, anche se molti condividono l’opinione degli ucraini sul generale, che aveva accusato l’occidente di usare armi chimiche, mentre era proprio lui a ordinarne l’utilizzo. Gli occidentali non approvano ma allo stesso tempo non prendono le distanze da Kiev, perché in fondo sono gli ucraini a combattere sul campo, con le spalle al muro e con il limite di un approccio tentennante da parte dei loro alleati.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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