All’inizio si è pensato che fosse l’ennesimo scherzo di Donald Trump. D’altronde ne aveva già parlato durante il suo primo mandato, nel contesto di un fiume di dichiarazioni apparentemente senza futuro. Ma a quanto pare il presidente eletto fa assolutamente sul serio: vuole la Groenlandia.
Trump ha fatto un passo decisivo durante una conferenza stampa organizzata il 7 gennaio nella sua residenza di Mar-a-Lago, dichiarando che non esclude il ricorso alla forza per conquistare l’isola artica. Stesso discorso per quanto riguarda il canale di Panamá, di cui reclama il ritorno nel possesso degli Stati Uniti. A dicembre Trump aveva fatto presente che “per la sicurezza nazionale e la libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti ritengono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta”.
Il 7 gennaio Donald Trump Jr, figlio maggiore del presidente eletto, è sbarcato nella capitale della Groenlandia, Nuuk, ufficialmente per registrare un podcast. Trump ha manifestato la propria soddisfazione per l’iniziativa del figlio e sul suo social network Truth ha presentato un nuovo slogan su misura: Make Greenland Great Again (“Facciamo tornare grande la Groenlandia”). Con Trump il serio si mescola sempre allo scherzo, un modo per confondere gli avversari.
Il problema è che l’isola, per quanto situata nel continente americano, è stata colonizzata mille anni fa dalla Norvegia e dal 1814 appartiene alla Danimarca. Oggi la Groenlandia gode dello statuto di “paese costitutivo del regno di Danimarca” e di un’indipendenza totale, fatta eccezione per la difesa e gli affari esteri che restano prerogative di Copenaghen.
Inviando un messaggio chiaro, il primo gennaio il re di Danimarca ha cambiato lo stemma del regno in modo da evidenziare meglio i suoi possedimenti, la Groenlandia e le Isole Fær Øer. La premier socialdemocratica danese, Mette Fredriksen, ha precisato che “la Groenlandia non è in vendita”.
Anche il primo ministro dell’isola artica, esponente del popolo inuit e sostenitore dell’indipendenza, ha chiarito che “la Groenlandia appartiene ai suoi abitanti. Il nostro futuro e la nostra indipendenza riguardano soltanto noi”. In altri termini, gli abitanti autoctoni del territorio non vogliono separarsi dalla Danimarca per cadere nelle mani degli Stati Uniti.
Qual è la motivazione della brama di Trump? Certo, il sottosuolo della Groenlandia abbonda di minerali fondamentali per la transizione ecologica, resi più accessibili dal surriscaldamento climatico. Inoltre bisogna tenere presente la posta in gioco strategica nel polo nord di fronte alle ambizioni cinesi. Gli Stati Uniti, tra l’altro, mantengono una base militare in Groenlandia fin dai tempi della guerra fredda.
Ma le dichiarazioni ripetute di Trump sulla Groenlandia, il Canale di Panamá e il Canada (che vorrebbe trasformare nel 51° stato americano) vanno al di là di queste prospettive e assumono una dimensione imperiale. Nonostante la loro costruzione progressiva, gli Stati Uniti non si sono mai considerati un impero, ma ora una parte del trumpismo accarezza questo sogno con ambizioni anche maggiori rispetto a quelle esplicitate dal presidente.
Cercando di acquistare la Groenlandia, Trump non sta inventando nulla. Gli Stati Uniti hanno acquistato la Louisiana dalla Francia nel 1803, l’Alaska dalla Russia nel 1867 e le Isole Vergini proprio dalla Danimarca, nel 1917.
Ma quell’epoca è finita, anche considerando che in Groenlandia esistono abitanti autoctoni che possono esprimere la propria volontà. La vicenda, però, è l’ennesima dimostrazione di quanto sia inquietante il trattamento riservato da Trump ai suoi presunti alleati.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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