Da un giorno all’altro potrebbe arrivare la notizia di un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, con la fine (almeno provvisoria) di una guerra che dura da 466 giorni. Naturalmente in questo tipo di trattative non c’è nulla di certo fino alla firma di un accordo. Diverse volte, in passato, sono sorti ostacoli all’ultimo minuto.
Ma in questo caso esiste un fattore che potrebbe portare a un’intesa: l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, in programma il 20 gennaio. La guerra avrebbe potuto e dovuto concludersi da settimane o addirittura da mesi. Israele, infatti, non ha ottenuto nulla dopo la morte del capo di Hamas Yahya Sinwar, ucciso a ottobre. Su questo punto concordano diversi esperti militari israeliani.
“L’effetto Trump” non nasce soltanto dal fatto che il presidente eletto abbia minacciato Hamas di scatenare un inferno se non saranno liberati gli ostaggi prima del suo insediamento. I palestinesi di Gaza vivono già in un inferno, dunque la minaccia era troppo vaga per essere determinante. I motivi vanno cercati altrove.
Un elemento importante è la vicinanza tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Trump. L’emissario del presidente eletto Steve Witkoff, compagno di golf di Trump e famoso per le sue posizioni filoisraeliane, partecipa ai negoziati in corso in Qatar. Nel fine settimana Witkoff si trovava in Israele per incontrare Netanyahu.
È insolito che un presidente eletto sia coinvolto così tanto durante la transizione. L’amministrazione Biden sottolinea che la collaborazione tra le due squadre è totale, ma resta il fatto che subito dopo l’entrata in azione degli uomini di Trump il primo ministro dello stato ebraico si è mostrato più “flessibile”, come sottolinea Barak Ravid, uno dei giornalisti israeliani più informati. Netanyahu non ha voluto “offrire” un cessare il fuoco al solo Biden, con cui i rapporti sono piuttosto tesi.
L’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha permesso inoltre di placare i partiti di estrema destra che fanno parte della coalizione al potere in Israele, ostili a qualsiasi prospettiva di un cessate il fuoco, che sperano così di ottenere in cambio il sostegno di Washington per l’annessione della Cisgiordania.
Secondo l’accordo negoziato a Doha grazie alla mediazione di Qatar ed Egitto, a cui Hamas non ha ancora dato il proprio benestare, dovrebbero essere scarcerarti 33 ostaggi israeliani su 98. Si tratta di donne, bambini e anziani che si trovano in condizioni di prigionia dal 7 ottobre 2023. Una seconda fase dovrebbe essere negoziata sedici giorni più tardi.
La nuova concessione israeliana è il diritto accordato ai palestinesi di ritornare nella zona nord della Striscia di Gaza, evacuata e rasa al suolo. Un cessate il fuoco dovrebbe permettere un ingresso maggiore degli aiuti umanitari, che attualmente arrivano con il contagocce.
La buona notizia è che probabilmente finiranno i bombardamenti, dopo gli oltre 46mila morti segnalati dal ministero della salute di Hamas – molti di più secondo uno studio pubblicato recentemente dalla rivista medica The Lancet.
La domanda che non ha ancora risposta è quella che riguarda il “dopo”. Fino a poco tempo fa Israele prometteva che il suo esercito sarebbe rimasto a Gaza per anni. In questo senso l’accordo per un cessate il fuoco non va oltre la prima fase. Il futuro dei palestinesi è tutt’altro che garantito, soprattutto con un presidente statunitense vicino alle posizioni israeliane più estreme. In ogni caso Trump potrà vantarsi di aver portato, se non la pace, almeno un’interruzione della guerra.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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