Da qualche tempo a Parigi si vedono nuovi volti statunitensi in giro. Sono espatriati che si autodefiniscono rifugiati politici. Uno di loro, con cui ho parlato di recente, è arrivato in Francia nelle ultime settimane dopo aver ricevuto minacce di morte negli Stati Uniti per il suo impegno contro Trump. Sfruttando il fatto che il suo lavoro gli permette di spostarsi liberamente, ha pensato quindi di trovare riparo sull’altra sponda dell’Atlantico.
C’è poi una coppia di intellettuali, volata in città per valutare l’acquisto di un appartamento, non si sa mai dovessero averne bisogno. E ancora una giovane scrittrice, che si trova in una capitale europea in attesa dei documenti necessari per entrare in Francia. È partita di corsa, perché non voleva “restare nemmeno un solo giorno in più” negli Stati Uniti.
In appena un mese trascorso alla Casa Bianca, Donald Trump ha seminato il panico, fomentando l’aggressività dei suoi sostenitori al punto che molti statunitensi (tra l’altro ben inseriti nella società) hanno preso la decisione di lasciare il paese o si preparano a farlo. Questi esuli parlano della nascita di un nuovo “maccartismo”, la caccia alle streghe contro i comunisti portata avanti in piena guerra fredda dal senatore repubblicano Joseph McCarthy.
Nelle università, a Hollywood e nelle redazioni dei giornali, il maccartismo degli anni cinquanta aveva distrutto carriere e vite, in nome di un’ideologia anticomunista violenta. Oggi basta sostituire il comunismo con la cosiddetta ideologia woke, caratterizzata dall’indignazione contro le discriminazioni, per individuare i bersagli dei nuovi inquisitori trumpiani.
Chi pensava che il nuovo Trump sarebbe stato una versione aggiornata del vecchio si è sbagliato di grosso. Il trumpismo di ritorno è molto più ideologico, determinato e imperiale rispetto alla sua prima edizione. Ce ne siamo accorti subito con l’entrata in scena di Elon Musk e del suo Doge (il dipartimento per l’efficienza governativa). Successivamente, in modo ancora più inquietante, con il discorso pronunciato dal vicepresidente JD Vance alla conferenza di Monaco di Baviera sulla sicurezza, basato su un’ideologia identitaria di estrema destra.
L’appello rivolto da Vance ai tedeschi affinché aprano le porte all’Alternative für Deutschland (Afd), partito di estrema destra già sostenuto da Musk nelle settimane precedenti, ha sconvolto buona parte della popolazione di un paese la cui democrazia è stata plasmata dagli statunitensi sulle macerie del nazismo. Alla vigilia delle elezioni anticipate, l’alleato e protettore della Germania si trasforma dunque in promotore del caos. Il sito specializzato in geopolitica Le Grand Continent ha voluto tradurre e pubblicare integralmente il discorso di Vance, consigliando a tutti gli europei di leggerlo.
L’Occidente politico, un concetto azzardato che è nato dalla guerra fredda, ha spesso conciliato le differenze di vedute appoggiandosi a valori comuni, che però sono stati sempre malleabili e sfruttati per giustificare crimini in diverse occasioni. Cosa ne resta oggi? Il ritorno degli Stati Uniti a una politica imperiale mette gli alleati europei davanti a una scelta dolorosa, cioè tra diventare vassalli o subire un attacco frontale. In questo contesto, il presidente della repubblica italiano Sergio Mattarella ha sottolineato i rischi di un “vassallaggio felice”: una tentazione permanente per molti europei.
Si può condannare l’evoluzione degli Stati Uniti e rimpiangere i giorni mitici dell’alleanza, ma forse sarebbe meglio interrogarsi su ciò che ha impedito all’Europa di diventare davvero un polo, in questo mondo multipolare di cui abbiamo tanto parlato, e di acquisire i mezzi per sfuggire alla dipendenza. Questa riflessone dovrebbe essere una priorità assoluta, perché la minaccia è assolutamente esistenziale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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