Sembra che i taliban non siano cambiati per niente. Il 22 marzo hanno annunciato che le ragazze non potranno frequentare le scuole superiori. Poi hanno aggiunto che le donne afgane non potranno uscire dal paese senza la presenza o il permesso di un parente maschio. Con queste due decisioni sono stati spazzati via tutti i progressi fatti dalle donne negli ultimi vent’anni.
Oggi le afgane vivono una delle situazione più strazianti della storia. Non solo il loro paese è stato devastato dall’occupazione statunitense e dalle rovine che si è lasciata alle spalle, ma ora metà della popolazione è stata anche tagliata fuori, cancellata e ridotta al silenzio. Le donne non possono partecipare alla ricostruzione del paese, che sarebbe così necessaria.
Chi le ha tradite di più? I taliban o le forze statunitensi e della Nato che avevano promesso un paese molto diverso da quello che hanno lasciato? È una domanda difficile, non ultimo perché né i taliban né gli Stati Uniti sembrano interessati a riconsiderare le loro posizioni sull’argomento. Se è vero che i taliban si sono addossati quest’ultimo carico di crudeltà, gli statunitensi e le agenzie umanitarie internazionali hanno abbandonato programmi di aiuti del valore di centinaia di milioni di dollari senza dare spiegazioni.
Conseguenze disastrose
Mohsin Amin, un analista politico afgano che scrive sul quotidiano statunitense Washington Post, ha sintetizzato in modo efficace la situazione lasciata dagli americani: “Immaginate di cancellare la Banca federale statunitense, e di permettere a tutti solo un prelievo settimanale di 400 dollari”. Amin stima che gli Stati Uniti hanno bloccato almeno il 75 per cento delle spese del governo dell’Afghanistan provenienti dagli aiuti internazionali. Washington non solo ha congelato più di sette miliardi di dollari in fondi depositati presso la banca centrale in Afghanistan, ma ha anche intimato alle agenzie di aiuti internazionali, come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e altre istituzioni simili, d’interrompere immediatamente le loro attività nel paese.
L’improvviso taglio dei programmi sanitari per le donne ha avuto un impatto gravissimo
Questo ha avuto conseguenze disastrose, e non c’è da stupirsi che le donne afgane siano state le più colpite. L’improvviso taglio dei programmi sanitari per le donne ha avuto un impatto gravissimo: c’è stata una forte diminuzione del numero di afgane che hanno accesso a strutture mediche durante la gravidanza e il parto. È probabile che molte donne e molti bambini siano morti proprio a causa dell’improvvisa sospensione di programmi sanitari (e dei relativi finanziamenti) che erano stati attivi per anni.
Quando le vite delle donne sono soffocate da tutte le parti, a loro restano poche opzioni. Quando gli statunitensi arrivarono con le loro pose da eroi spacconi per liberare le afgane da tutto quello che rendeva le loro vite orribili, troppe persone ci hanno creduto.
È stato criticato il fatto che alcuni afgani, considerati “laici”, siano riusciti a guadagnare nel ruolo di facilitatori culturali offrendo consulenze su molti progetti e guadagnando molti soldi. Il problema è che molti di questi progetti avviati durante l’occupazione statunitense non tenevano conto della realtà culturale delle afgane: hanno cercato di soddisfare i loro bisogni alla luce dell’idea che ne avevano quei consulenti. Nessun programma ha cercato di trovare dei compromessi tra gli insegnamenti religiosi e l’emancipazione delle donne.
Non sappiamo se un qualsiasi tentativo in questa direzione avrebbe fatto la differenza, ma valeva la pena provarci. Se non altro le menti più lungimiranti avrebbero avuto vent’anni di tempo per contrapporre all’interpretazione sbagliata che i taliban danno dei diritti delle donne nell’islam un punto di vista progressista, che permetta alle donne di decidere sulla loro vita. Si è invece immaginato di poter sintonizzare il contesto in cui viveva la donna media afgana con quello di una metropoli occidentale piena di vita, com’è successo in alcune zone di Kabul.
La forza della resistenza
I taliban hanno fatto i loro calcoli. Dopo un periodo iniziale in cui hanno cercato di essere presentabili agli occhi della comunità internazionale, hanno deciso che non ne avrebbero ricavato niente. La comunità internazionale avrebbe potuto approfittare dall’iniziale malleabilità dei taliban per ottenere alcune concessioni sui diritti delle donne, ma a quanto sembra non erano una priorità per nessuno. È probabile che se si fosse messo sul piatto lo scongelamento della valuta di riserva dell’Afghanistan e dei flussi di denaro per i programmi destinati alle donne, le scuole femminili e gli ambulatori sarebbero rimasti aperti.
Non è successo niente di tutto questo. I taliban hanno fatto altri calcoli, anche perché l’attenzione del mondo è rivolta altrove. È cominciata una nuova guerra con una posta in gioco molto più alta e che risponde a calcoli diversi. Invece che attraverso una guerra per procura in Afghanistan, le grandi potenze si stanno affrontando direttamente. Non è una buona notizia per nessun afgano, tantomeno per le donne che sono state tradite da tutti e sono state tenute in ostaggio prima dai taliban e dalla loro idiozia, poi dall’invasione guidata dagli Stati Uniti e dalla Nato, che le ha usate come pedine al servizio dei loro obiettivi strategici. Oggi le donne non devono fare i conti solo con il rabbioso desiderio dei taliban di controllarle, ma anche con la disperazione che deriva dall’aver conosciuto un po’ di libertà.
Non stiamo dicendo che le afgane non sopravvivranno né che si arrenderanno. Sopravvivranno, hanno sopportato probabilmente le prove più dure tra quelle affrontate dalle donne di oggi. Forse non possiamo aiutarle direttamente, ma possiamo riconoscere la forza del loro spirito e il perdurare della loro resistenza. Non basta, ma è meglio dei tradimenti, la somma del nulla che fin qui è stato il loro destino.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano pachistano Dawn. Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Asia. Ci si iscrive qui.
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