Se c’è un elemento di continuità nella politica estera statunitense è sicuramente la volontà di impedire alla Cina di rivaleggiare con gli Stati Uniti in campo tecnologico. Dal primo mandato di Donald Trump a quello di Joe Biden, Washington ha fatto il possibile per tarpare le ali tecnologiche a Pechino, uno sforzo che proseguirà senz’altro durante il secondo mandato di Trump.

Il 2 dicembre l’amministrazione Biden ha preso una delle ultime decisioni importanti prima dell’avvicendamento, imponendo alla Cina un nuovo pacchetto di sanzioni che la priveranno dell’accesso alla tecnologia necessaria per produrre i semiconduttori per l’intelligenza artificiale. I semiconduttori possono servire anche nella costruzione di armamenti.

Quella appena annunciata è la quarta serie di sanzioni contro la Cina voluta da Biden, e prevede l’inserimento di altre 140 aziende cinesi nella lista nera di quelle escluse dai mercati statunitensi. È uno dei colpi più duri dati al settore tecnologico cinese, bersaglio ormai da sei anni delle diverse amministrazioni americane.

I progressi dell’intelligenza artificiale sono diventati un campo di battaglia strategico, sia in ambito civile sia militare. La Cina ha un serio ritardo nella produzione di semiconduttori di alta gamma, proprio quelli necessari per l’intelligenza artificiale. Il problema, per Pechino, è tanto più grave se consideriamo che ad avere il monopolio dei chip è Taiwan, l’isola rivendicata dal governo cinese.

Fatto ancora più importante, le sanzioni statunitensi si applicano anche alle aziende dei paesi alleati degli Stati Uniti che dovessero commerciare con la Cina. È il caso del gigante taiwanese Tsmc ma anche di Asml, azienda olandese che fabbrica i macchinari che producono i chip. Gli Stati Uniti sottolineano il proprio ruolo nel garantire la sicurezza di Taiwan e dei Paesi Bassi, e dunque pretendono che le aziende dei due paesi rispettino gli imperativi di sicurezza di Washington.

La Cina ha investito decine di miliardi di dollari per cercare di colmare il ritardo, tentando nel frattempo di aggirare i divieti. Il 28 novembre due persone sono state interrogate a Parigi nell’ambito di un’inchiesta sulla consegna a Cina e Russia di segreti industriali relativi ai semiconduttori.

La Cina riuscirà a recuperare terreno? Di sicuro ha i mezzi necessari per farlo. L’azienda di telecomunicazioni Huawei ha appena confermato questa tendenza presentando il suo ultimo telefono. In mancanza di chip occidentali, Huawei ha sviluppato le sue tecnologie, creando un terzo sistema, oltre a quello Android e a quello della Apple.

È la cosiddetta splinternet, ovvero la grande divergenza tra i sistemi tecnologici occidentali, dominati dagli statunitensi, e quelli cinesi. Il sogno di una tecnologia senza frontiere sta svanendo sotto i colpi della nuova guerra fredda.

Donald Trump continuerà di sicuro a seguire questa strada. Il 2 dicembre il futuro presidente ha inviato un nuovo segnale a Pechino, minacciando dazi del 100 per cento per i paesi che dovessero cedere alla tentazione di rinunciare al dollaro statunitense come valuta di scambio. Il primo paese citato è naturalmente la Cina, unico argomento che mette d’accordo – e ossessiona – i due grandi partiti americani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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