Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca tra due mesi, ma ha già cominciato a presentare il suo piano per far prevalere gli interessi degli Stati Uniti nel mondo, come aveva promesso in campagna elettorale. Il 25 novembre ha annunciato che imporrà dazi del 25 per cento sui prodotti provenienti da Canada e Messico se i due paesi non bloccheranno il traffico di droga e l’immigrazione irregolare verso gli Stati Uniti. Ha aggiunto che aumenterà quelli già in vigore sulle merci cinesi, dal 15 al 25 per cento per cento, se Pechino non fermerà le esportazioni dei principi attivi usati nella fabbricazione del fentanyl, un oppioide che ogni anno causa negli Stati Uniti la morte di decine di migliaia di persone.
Già durante il suo primo mandato Trump ha cercato di usare il protezionismo per imporsi sugli altri paesi, ma senza ottenere risultati concreti. I dazi avrebbero dovuto ridurre il deficit commerciale statunitense, che invece era aumentato di un quarto durante la sua amministrazione. Gli scambi con la Cina si erano ridotti, ma le barriere doganali erano state aggirate. Le aziende cinesi avevano spostato la produzione in paesi come Messico, Vietnam, Taiwan e Malesia.
Queste politiche protezionistiche potrebbero avere effetti negativi sull’economia statunitense, facendo aumentare i prezzi per i produttori e per i consumatori. I dazi sulle merci che arrivano da Messico e Canada, in particolare, farebbero costare di più i prodotti agricoli, i metalli, il petrolio e i componenti usati nell’industria automobilistica. Trump ha vinto le elezioni promettendo di combattere l’inflazione, ma la sua politica rischia paradossalmente di farla impennare. Tra due mesi scopriremo se il presidente proseguirà per questa strada o sceglierà una linea più pragmatica. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati