Sulla riforma del lavoro, su cui il governo Renzi si gioca tanta parte della sua credibilità, è già cominciata una guerra sui numeri. Ma per capire davvero se il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti e lo sgravio fiscale per chi assume hanno cambiato la situazione in modo radicale ci vorranno mesi. Per ora non c’è molto da festeggiare, purtroppo: i contratti a tempo indeterminato aumentano di circa 31mila unità nel corso del mese di marzo, il che è positivo, ma pur sempre poca cosa rispetto ai milioni tra disoccupati e “sfiduciati”.

Stamattina il ministero del lavoro ha diffuso i dati (provvisori) relativi all’andamento dei contratti nel primo mese di attivazione della riforma del lavoro. Meritoriamente, stavolta il comunicato del dicastero di Poletti evita toni trionfalistici (sarebbero ingiustificati, visti i livelli della disoccupazione…). Il numero più “bello” per il governo è quello dei 92mila posti di lavoro in più, frutto della differenza tra i 641mila contratti di nuova attivazione (20mila in più rispetto al marzo 2014) e i 549mila contratti che invece sono stati cessati (10mila circa in meno rispetto a dodici mesi fa). Una buona notizia, ma – appunto – le dimensioni sono decisamente modeste.

Tra le attivazioni, 162.498 contratti sono a tempo indeterminato (a marzo 2014 erano stati 108.647), cosa che fa leggermente migliorare la situazione nel rapporto tra assunzioni a tempo indeterminato (ora il 25,3 per cento di quelle effettuate nel mese, erano il 17,5 per cento nel marzo 2014) e assunzioni a termine (erano il 63,7 per cento, ora sono il 59,4 per cento del totale). Ma, come si vede, le imprese continuano a preferire – nonostante gli incentivi del governo per chi assume stabilmente – i contratti più precari. Raddoppiano anche le trasformazioni di tempi determinati in indeterminati: dai 22.116 del 2014 agli attuali 40.034. Ancora una volta, una tendenza interessante, ma su quantità davvero irrisorie.

Insomma, a sentire gli addetti ai lavori qualche segnale positivo c’è, ma è troppo poco per incidere sulla piaga della mancanza di lavoro e di reddito. Tanti esperti, in effetti, nel vivo della polemica politica avevano avvertito che le regole del mercato del lavoro contano, ma solo relativamente. Ci vorranno almeno sei mesi per capire se l’operazione Jobs act darà i frutti politici, sociali e occupazionali che Matteo Renzi si attendeva, o se avrà conseguenze inattese.

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