Un giorno senza tecnologia, ventiquattr’ore senza rispondere agli sms, controllare la posta o rispondere alle telefonate. In un mondo in cui oltre il 90 per cento della popolazione ha un cellulare sempre a portata di mano e il 52 per cento si alza almeno una volta di notte per controllare le email, i messaggi eccetera, la giornata mondiale senza tecnologia comincia ad avere un senso.
L’idea, secondo alcuni, nasce nel corso di una discussione a casa Zuckerberg durante la cena dello shabbat. Sarebbe una naturale conseguenza della tipica lite, pseudodigitale, tra fratello e sorella, cioè tra Mark e Randy.
Si narra che mentre Randy annunciava l’imminente pubblicazione del suo nuovo libro (digitale) - in cui sono elencati dati, ricerche e patologie del disturbo di attenzione più diffuso al mondo, cioè la dipendenza tecnologica - Mark fissasse a lungo le candele dello shabbat, gustando la challà (il pane di shabbat) e meditando sul significato profondo del riposo settimanale, attualizzandolo alle nuove frontiere dello stress.
Secondo altri, invece, la giornata mondiale senza tecnologia non è altro che l’estensione di un’idea nata da un gruppo di artisti e intellettuali ebrei di New York che nel 2010 ha deciso di sottoscrivere lo Sabbath manifesto, una specie di versione aggiornata dei dieci comandamenti che come prima cosa ordina di disconnettersi dalla tecnologia per un giorno a settimana (appunto il giorno di shabbat).
Questa sorta di organizzazione non profit ha l’obiettivo di diffondere l’idea di slow life e che per vivere meglio è necessario prima di tutto tornare a guardare il mondo intorno a sé e non solo un display, è meglio comunicare con le persone a voce e non solo chattando.
Come dimostrano le origini millenarie del riposo sabbatico, l’idea di connettersi per un giorno a settimana con la vita reale ha origini ben più lontane del 2010. E ognuno può trovare da sé le ragioni per cominciare una dieta tecnologica.
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