Alla fine ha vinto la paura. Una vittoria facile, quasi scontata, vorace.

Fino al tardo pomeriggio si poteva ancora avvertire un po’ di ottimismo. “Un cauto ottimismo”, lo aveva definito qualcuno su Facebook. “Altro che ottimismo: una tensione!”, gli avevano ribattuto. “Ma quale tensione”, ha risposto un terzo, “da oggi le cose potranno solo migliorare”.

La rete si stava pian piano riempendo di fotografie di volti sorridenti. Prima, durante o dopo l’atto primario della democrazia. Il classico: “Fatto!”. E subito dopo l’atto secondario della democrazia: postare la foto sui social network.

Verso le 18, poco dopo il tramonto, l’ex – nonché attuale – primo ministro aveva lanciato l’allarme: “Arabi al voto in massa”. “L’assurdo vince sempre”, aveva commentato qualcuno preoccupato. E qualcun altro aveva risposto: “Si vede che è nel panico!”.

Ma non era panico, era solo l’inizio del solito e durevole nemico dello stato israeliano, quel meccanismo che ha prodotto il quarto mandato del premier uscente basato sulla paura, sulle minacce esistenziali, sui richiami volti ad avvertite il popolo di pericoli nucleari incombenti e della corsa al voto dei cittadini arabi.

“Cari arabi, non ci fate caso. Abbassate la testa finché è passata, come fanno gli ebrei in Europa”, ha scritto qualcuno su Twitter.

Con la pubblicazione dei primi risultati elettorali l’ottimismo andava svanendo. La scelta democratica di un popolo che non è riuscito a fare niente di nuovo non ha lasciato nessun margine per un futuro diverso.

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