Dal 2012 le lavoratrici del settore pubblico potranno andare in pensione a 65 anni. Oggi la loro età pensionabile è 61 anni.

Questo nuovo “scalone” avrà conseguenze modeste dal punto di vista finanziario: il governo calcola che, anticipando al 2012 l’innalzamento dell’età pensionabile, le finanze statali otterranno un risparmio complessivo di 1,45 miliardi di euro in otto anni, cioè tra il 2012 e il 2019.

La misura, invece, ha un effetto negativo sull’adeguatezza e la modernità del nostro sistema previdenziale: la riduzione del margine di libertà delle donne nella scelta del momento di andare in pensione può avere conseguenze negative sul lavoro domestico e sulla cura degli anziani, attività che in genere sono svolte dalle donne.

Ma c’è anche un aspetto positivo: andando in pensione più tardi, la maggior parte delle donne riceverà una pensione più alta. Una cosa da non sottovalutare, dal momento che rischiano particolarmente di avere un reddito molto basso nella terza età.

Resta irrisolto un problema culturale: cambiare la ripartizione degli oneri familiari tra uomini e donne. Le vecchie regole, che erano meno rigide sulla scelta del momento di andare in pensione, erano una specie di ricompensa per la mole di lavoro domestico e di assistenza alla famiglia svolto dalle donne.

Ora le nuove norme dovranno essere accompagnate da un maggior equilibrio nella divisione del lavoro non retribuito.

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