La Commissione europea ha proposto l’introduzione di una Tobin tax europea sulle transazioni tra imprese finanziarie pari allo 0,1 per cento per i titoli e le obbligazioni e allo 0,01 per cento per le operazioni sui derivati. Come osserva Anivash Persaud su lavoce.info, la proposta ha suscitato l’opposizione delle Cassandre che prevedono effetti dirompenti sulla finanza.

Ma la tassa è compatibile con l’attività dei mercati finanziari e, se concepita bene, può portare dei benefici. Il problema più serio posto da questo tipo di interventi è che i capitali sono molto mobili: molti banchieri e politici sottolineano che operatori e operazioni si sposterebbero nei mercati dove i costi sono più favorevoli.

Eppure c’è un esempio concreto che mostra come la temuta fuga di capitali non si materializzi in presenza di aliquote relativamente contenute. È la Stamp duty reserve tax, un’imposta di bollo in vigore in Gran Bretagna dal 1986. È pari allo 0,5 per cento per gli scambi di azioni e dà un gettito annuale di cinque miliardi di euro. Questa tassa funziona perché è applicata al trasferimento di proprietà e non è basata sulla residenza. Il 40 per cento dell’imposta, infatti, è pagato da residenti all’estero: la Stamp duty reserve tax, quindi, non ha messo in fuga i contribuenti, ma ha fatto pagare gli investitori stranieri.

Tasse simili sono applicate da tempo in alcune piazze finanziarie importanti come Hong Kong, Seoul, Mumbai, Johannesburg e Taipei. Il successo di queste esperienze dimostra che una Tobin tax europea è non solo realizzabile, ma anche auspicabile.

Internazionale, numero 920, 21 ottobre 2011

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