In Italia il costo del lavoro per un lavoratore non sposato è circa 2 volte lo stipendio netto, contro un rapporto pari a 1,7 nell’eurozona e a 1,5 nei paesi Ocse. La riduzione del cuneo fiscale – la differenza tra quanto un lavoratore costa all’impresa e quanto guadagna al netto di tasse e contributi – dovrebbe essere una priorità, perché influisce sulla competitività delle nostre imprese.
Il governo – che finora non aveva inserito il cuneo tra le priorità – vuole destinare un miliardo per ridurre il costo del lavoro, ma è una proposta insufficiente. Secondo l’Istat, nel 2011 il montante aggregato dei contributi sociali era intorno ai 216 miliardi di euro, circa il 13,6 per cento del pil. È quindi evidente che un intervento di un miliardo (lo 0,5 per cento del totale) ha poche probabilità di incidere sul costo del lavoro in misura significativa.
Una riduzione del costo del lavoro di 2,5 punti percentuali comincerebbe ad avere un impatto di un certo rilievo. A un lavoratore con stipendio annuale medio di trentamila euro porterebbe 250 euro all’anno in più in busta paga, oltre a far risparmiare 500 euro al datore di lavoro. Per farlo servirebbero più risorse, ma la coperta è corta.
Un intervento mirato esclusivamente ai lavoratori più giovani potrebbe essere di portata maggiore a parità di risorse, perché i contributi a carico dei lavoratori fino a quarant’anni sono pari a 89 miliardi. Anche una riduzione concentrata sui salari più bassi potrebbe introdurre maggiore progressività nella tassazione, con effetti positivi sull’occupazione, soprattutto quella femminile.
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