Tra il 2007 e il 2011 l’Italia ha accumulato 69 ricorsi per inadempimento delle direttive europee. Peggio di noi ha fatto solo la Grecia con 75. Se consideriamo il numero di sentenze di condanna, 66, siamo primi nell’Unione europea. Come sottolinea Andrea Festa su lavoce.info, non è un primato di cui essere orgogliosi. Anzi, dal momento che l’Italia è uno dei paesi fondatori della Comunità europea, dovrebbe sentire maggiormente la responsabilità di adempiere con zelo alle decisioni assunte con gli altri partner. Gran parte delle colpe va alla politica, che legifera in modo inappropriato.

Non è un caso che la maggioranza dei ricorsi riguarda i ritardi nell’approvazione e nell’applicazione delle direttive. Un capitolo a parte lo merita la giurisprudenza, da sempre restia a riconoscere le norme europee nell’ambito nel diritto italiano. Dal 1952 al 2011 l’Italia ha accumulato 628 ricorsi, il 17 per cento del totale. Un record assoluto. Parte della responsabilità è da attribuire alla nostra costituzione, che è particolarmente rigida nei confronti di fonti esterne all’ordinamento. Per risolvere il contenzioso, nel 1984 la corte costituzionale ha stabilito il primato della legislazione comunitaria su quella italiana e la sua diretta applicabilità.

La distanza normativa dai paesi virtuosi esiste e va colmata per avere maggiore autorevolezza all’interno dell’Unione. La disciplina di bilancio è necessaria, ma da sola non è sufficiente a rafforzare l’immagine del nostro paese: per tornare a essere uno dei pilastri dell’Europa, dobbiamo anche essere all’avanguardia nel diritto.

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