L’Italia soddisfa quasi il 90 per cento del suo fabbisogno di gas grazie alle importazioni. La dipendenza energetica non è certo un fatto nuovo, ma l’accelerazione registrata negli ultimi anni desta qualche preoccupazione: oggi su settanta miliardi di metri cubi di consumo totale solo 7,7 provengono dalla produzione interna.
Il gas russo, complice l’instabilità in Libia, sta gradualmente consolidando la sua supremazia: a febbraio ha toccato il record del 60 per cento delle importazioni. E ora che la Russia e l’Ucraina sono ai ferri corti, la questione energetica torna di grande attualità e ci si chiede cosa accadrebbe se Putin chiudesse i rubinetti.
Alessandro Fiorini, Gionata Picchio e Antonio Sileo su
lavoce.info invitano alla prudenza: la dipendenza da Mosca è dettata più da particolari dinamiche contrattuali che dalla mancanza di valide alternative. E nella malaugurata ipotesi di un blocco delle forniture si potrebbe ripiegare su canali oggi meno sfruttati, soprattutto il Nordafrica e il Nordeuropa. Inoltre, non va trascurato il crollo della domanda di gas, scesa del 18 per cento dal 2005.
Colpa della crisi, ma anche di alcuni cambiamenti in campo energetico: su tutti, la rinascita del settore idroelettrico, la crescita delle rinnovabili e il boom delle fonti alternative di riscaldamento domestico, come le stufe a pellet.
L’unico settore in cui il gas naturale sembra avere un futuro roseo è quello dei trasporti: le auto a metano erano il 5,2 per cento del totale delle immatricolazioni nel 2013 e le prospettive di crescita sono solide. Finché la domanda sarà in calo, quindi, ogni allarmismo appare infondato.
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