Tony Wheeler, Newsweek, Stati Uniti
Verso la fine del 1972, dopo sei mesi di giri in Asia, mia moglie e io siamo atterrati a Bangkok con un volo da Calcutta. Avevamo comprato una vecchia macchina a Londra, guidato fino a Kabul, lì l’avevamo venduta e avevamo proseguito verso est con qualunque mezzo ci capitasse. Non potevamo saperlo, ma in quella regione stava per scoppiare una rivoluzione. Nei quarant’anni seguenti il turismo sarebbe aumentato in modo esponenziale in tutto il mondo, ma il sudest asiatico avrebbe vissuto il cambiamento più radicale.
Nel 1972 Bangkok stava pian piano abbandonando il suo ruolo di oasi per i soldati americani in Vietnam. I film The beach e Una notte da leoni 2 erano ancora lontani. Con mia moglie abbiamo proseguito verso sud: abbiamo fatto l’autostop da Bangkok a Singapore, preso una barca fino a Jakarta, e a Bali abbiamo scroccato un passaggio su uno yacht neozelandese diretto in Australia. C’erano anche altri turisti – non eravamo certo dei pionieri – ma, rispetto a oggi, erano pochissimi.
In quel periodo si era creata una convergenza di fattori. I baby boomer si spingevano molto più lontano dei loro genitori. L’Europa era solo un trampolino: da lì si andava a prendere il Marrakech Express o si seguivano i Beatles in India. I primi voli del Boeing 747 erano cominciati nel 1970 e, in poco tempo, si sarebbero affermate nuove compagnie aeree pronte a trasportarci verso destinazioni ignote a prezzi meravigliosamente economici. Il mondo si stava aprendo. Da zona di guerra, nel corso dei dieci anni seguenti, il sudest asiatico si sarebbe trasformato in zona di divertimento. E nei dieci anni successivi anche la Cina avrebbe aperto le sue porte.
All’origine della rivoluzione turistica, quindi, ci sono stati un cambiamento generazionale, lo sviluppo dell’aviazione e alcune importanti svolte politiche. Ma il vero motore è stata la tecnologia. Di colpo possiamo prenotare voli economici, trovare alberghi accoglienti, programmare itinerari e raccontare i nostri viaggi agli amici rimasti a casa, tutto questo quasi istantaneamente. Per tanti aspetti, quindi, il mondo è diventato un posto molto meno solitario da quando, quarant’anni fa, è uscita la prima guida della Lonely Planet. Ma per chi vuole sfuggire alle folle, ci sono ancora molti luoghi remoti.
Qualche tempo fa, con un gruppo di amici, ho camminato da Simikot, nell’estremo ovest del Nepal, fino alla frontiera con il Tibet. Lì un camion cinese è venuto a prenderci e ci ha portati sul monte Kailash. Secondo i tibetani, basta un unico pellegrinaggio su questa montagna sacra per liberarsi di tutti i peccati. Nel campeggio del monte Kailash ci sentivamo molto soddisfatti di noi stessi. Almeno fino a quando, qualche ora dopo, sono spuntati due ciclisti, riportandoci alla realtà. Dopo la nostra escursione in montagna ci avremmo messo una settimana per guidare fino a Lhasa. L’altra possibilità – raggiungere Kashgar, nella Cina orientale – era altrettanto impegnativa.
Qualunque fosse il loro punto di partenza, quei due dovevano aver fatto un lungo viaggio. “Da dove venite?”, abbiamo chiesto. “Abbiamo comprato le bici in un bazar a Lahore”, ha risposto il primo, con il viso segnato dal sole e dal vento. “Poi abbiamo attraversato il nord del Pakistan seguendo l’autostrada di Karakorum”, ha continuato il compagno, “e siamo entrati in Cina dal passo Khunjerab”. Quei tizi avevano superato l’Himalaya! Eravamo proprio dei pivelli. Il trekking e il viaggio in camion di cui andavamo tanto fieri in confronto erano una passeggiata. All’improvviso il mondo ci è sembrato un posto molto più grande e le possibilità di trovare un angolo sperduto e solitario molto più numerose.
In chiesa, a Venezia
All’inizio del 2011 ero in viaggio nelle isole Salomone e sono finito in un piccolo albergo a sud del porto di Gizo. Lì ho preso un kayak e, pagaiando attraverso la baia, ho raggiunto un’isoletta poco lontano. Così mi sono ritrovato sulla stessa spiaggia dove, quasi settant’anni fa, un giovane John Fitzgerald Kennedy era approdato dopo che la sua torpediniera era stata affondata dai giapponesi. Quante persone potevano dire di esserci state? Il turismo nelle isole Salomone è ancora molto scarso, nonostante i fondali meravigliosi, gli alberghi accoglienti e le ottime birre locali.
Sono un viaggiatore fortunato. Posso provare regolarmente l’emozione di vivere un’esperienza da solo, lontano dalla folla. Ma non bisogna per forza andare in Tibet o pagaiare in lidi sperduti del Pacifico per trovare un posto adatto. Anche nel nostro mondo gremito è ancora sorprendentemente facile sfuggire alla folla. C’è forse una meta europea più frequentata di Venezia d’estate? Bene, se andate a Venezia, vi allontanate un po’ da piazza San Marco, entrate in una delle tante chiese, vi sedete su un banco e vi guardate intorno, molto probabilmente scoprirete di essere soli. Il mondo è più affollato, le file al check-in sono più lunghe, gli aerei sono più grandi, i turisti più numerosi. Ma se cercate un luogo solitario, potete ancora trovarlo.
*Traduzione di Francesca Spinelli.
Internazionale, numero 908-909-910, 29 luglio 2011*
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