Una trentina di anni fa scrissi una canzone sull’essere in vacanza. Le prime parole erano “Ed eccoci qui in Italia, con un berretto e un dizionario”, ma quando i giornalisti della rivista Smash Hits ascoltarono il pezzo per recensire il nostro disco fraintesero il testo, capendo invece “con un sonetto e un dizionario” e mi sfotterono pesantemente dandomi della leziosa. A metà tra infastidita e divertita, scrissi una risposta per correggerli.

Col senno di poi, effettivamente, non è che vi fosse questa grande differenza: in termini di leziosità, parlare di cappelli da sole e di sonetti in una canzone è pressoché uguale. Mi è tornato in mente questo episodio perché sono di nuovo in vacanza in Italia.

Per un certo periodo gli Everything But The Girl hanno avuto in Italia un successo pari a quello ottenuto in tutti gli stati europei messi insieme, perciò qui abbiamo fatto molte tournée e ci siamo sentiti molto amati, innamorandoci di conseguenza anche noi di questo luogo.

Pile di libri
Per adesso, comunque, sono semplicemente in vacanza, la stessa di sempre: una casa presa in affitto con la famiglia e gli amici. Niente sonetti né dizionari, ma pile di libri. Mi guardo intorno per vedere cosa stanno leggendo gli altri, sempre affascinata dalla definizione di “una buona lettura per le vacanze”.

Una delle mie figlie legge il nuovo romanzo di David Nicholls, Sweet sorrow, un romanzo d’amore dolce e amaro ambientato in estate, mentre sua sorella arranca nella lettura di un libro intitolato Origins, che ripercorre le fasi dell’evoluzione umana analizzando i fattori geografici e geologici che l’hanno influenzata.

In Dancer from the dance è possibile percepire l’euforia trascendente e la spinta innovatrice che dominavano le piste da ballo

Vedo anche due copie del libro di Tayari Jones che ha recentemente vinto il premio Women’s Prize, Un matrimonio americano, e due di Ghost wall (Il muro fantasma) di Sarah Moss. Il vecchio amico di Ben, Matthew, sta leggendo un libro che lui stesso descrive come “una spiegazione dei fondamenti spirituali del discorso della montagna”; intanto, la mia amica Carol si dedica alla lettura di un noir scritto da una donna del Lancashire di nome Magdalen Nubb e ambientato in Italia e più precisamente nel “mondo sotterraneo e corrotto di Firenze, fatto di lap dance, prostituzione e traffico di esseri umani”.
Lancio uno sguardo a Ben, che se ne sta su una sdraio sotto un albero a leggere un libro intitolato Leave me alone.

Per quanto mi riguarda, ho portato il romanzo di Andrew Holleran Dancer from the dance del 1978 (Dancer from the dance o corpo governato dalla musica, Zoe 2001), la cui vicenda si svolge nella New York degli anni settanta, nella “decadente scena gay infiammata dalla disco music”. Ha un tono nostalgico e fortemente romantico, una sorta di Grande Gatsby a tematica gay. Un gay Gatsby, se vogliamo.

In alcune scene ambientate nei club di New York è possibile percepire la trascendente euforia e la spinta innovatrice che dominavano le piste da ballo. In questi punti sembra di leggere un inno d’amore rivolto allo spirito della scena underground, a quella passione, capace di unire tutti, per la giusta musica nel posto e nel momento perfetti. “Era straordinario, le emozioni in quelle stanze… ognuno era rapito da un’estasi malinconica… la vita per noi era fatta di alcune note in una canzone e del contatto con una persona che balla accanto a te, che entra in comunione con te, fradicia di sudore, che si muove al tuo stesso ritmo”.

Un mondo più vasto
Sono totalmente ammaliata dalla vibrante e sfacciata passione che anima il libro e dal modo in cui amore, sesso e danza sono intrecciati tra loro, tutti ugualmente bramati e pieni di significato. “’Gi’, disse rivolgendosi a Malone, ‘è tutto ciò che ti resta quando l’amore finisce. La danza’”.

Si percepisce la presenza di un mondo più vasto, a contrasto con questo: un mondo conservatore e severo, da cui i protagonisti del libro sono tagliati fuori e di cui arrivano a comprendere le ipocrisie e convenzioni. “Aveva perso ogni fiducia nella politica: il mondo, come la stessa città, gli sembrava un caos ingestibile… un immenso giardino d’infanzia pieno di delinquentelli che vanno tenuti continuamente sotto controllo”.

Al leggere quella riga, finisco catapultata di nuovo nel presente e il mio pensiero va allo stato delle cose nella politica di oggi. Nella mia borsa ho il passaporto recentemente rinnovato che, pur avendo ancora il suo solito colore bordeaux, mi intristisce per la mancanza della dicitura Unione europea sulla copertina. Le occhiate che di tanto in tanto lancio al cellulare mi tengono aggiornata sulle dimissioni di esponenti politici, i discorsi provocatori, i comportamenti da guerrafondai. Un senso di malcontento, di discordia e mancanza di armonia generale, dal quale sono felice di godermi una breve pausa.

Mi torna di nuovo in mente quella canzone, scritta nel 1987, in cui parlavo della mia nostalgia dell’Inghilterra nonostante fossi ben cosciente delle sue colpe e delle sue mancanze. Anche allora temevo che chi era al governo stesse mandando tutto a rotoli. Già allora scrissi “Perché l’Inghilterra chiama? Presto non sarà rimasto nulla”.

(Traduzione di Mariachiara Benini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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