Nelle carceri cubane si aspetta l’ispezione dell’Onu, scrive Yoani Sánchez. Ma potrebbe non arrivare mai
Ho sentito parlare di Manfred Nowak l’anno scorso quando un detenuto mi ha chiamato da Canaleta, un carcere di massima sicurezza. “Stiamo aspettando Manfred”, mi ha detto. Poi c’è stato un disturbo nella comunicazione.
Due giorni dopo un altro detenuto mi ha raccontato che, per la visita del relatore speciale del Consiglio dei diritti umani sulla tortura prevista a novembre, il carcere aveva distribuito delle coperte. Nelle prigioni sono apparse alcune novità: i distributori d’acqua nei padiglioni dell’amore rapido, i servizi religiosi e il rispetto per l’orario delle telefonate. Bisognava trasformare il volto lugubre di questi luoghi prima dell’arrivo di Nowak.
“Complicazioni di agenda”, hanno detto le autorità cubane all’Onu per comunicare che la visita doveva essere rimandata. I detenuti hanno incassato il colpo. Ma le loro speranze si sono riaccese a febbraio di quest’anno, quando il relatore sembrava sul punto di oltrepassare la soglia delle carceri cubane. Non si lascerà distrarre dalla mano veloce di vernice passata su un sistema penitenziario che priva le persone del rispetto per se stessi, pensavano centinaia di prigionieri.
È arrivata l’estate, ma Manfred Nowak non è mai arrivato. Il terzo tentativo di entrare a Cuba è stato accolto da una risposta evasiva. Non potrà vedere il dramma che si nasconde dietro le sbarre. Se ne sarebbe reso conto, ripetono quelli che avevano sperato. Forse per questo non l’hanno lasciato entrare.
Yoani Sánchez è una blogger cubana. Il suo blog è tradotto in quattordici lingue, tra cui l’italiano. Vive all’Avana, dove è nata nel 1975. In Italia ha pubblicato Cuba Libre (Rizzoli 2009). Scrive una rubrica settimanale per Internazionale.
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