Negli anni ottanta il mondo era più facile da raccontare per i caricaturisti che pubblicavano le vignette sui giornali ufficiali. La guerra fredda alimentava il manicheismo di buoni e cattivi, missili e fiori, sorrisi e lacrime che inondavano gli spazi grafici oggi in estinzione.
Cuba era raffigurata come un unico tratto verde da cui spuntava una palma, mentre il mondo era una sequenza di ciminiere grigie fumanti. La qualità di quelle illustrazioni era molto buona, ma il loro contenuto era schematico. Il cattivo doveva essere disegnato con le peggiori menomazioni fisiche come uno zio Sam con la barba a punta e un cappello a stelle e strisce. Invece il buono dei fumetti era rappresentato da un miliziano o un orso bonario, che raffigurava l’Unione Sovietica.
Oggi, dopo l’emigrazione di molti artisti, alla nostra stampa manca la scintilla d’ingegno e umorismo delle vignette e dei ritratti mordaci di qualche personaggio famoso. I giornali sono senza colore e risate. Il quotidiano Granma è forse l’esempio più evidente di questa sobrietà e di come anche la matita caustica dei disegnatori è considerata contestataria o controrivoluzionaria.
A Cuba rimpiangiamo gli anni settanta e ottanta e proviamo nostalgia per quelle strisce in cui un imperturbabile miliziano rimaneva fermo sulla sua isola con una sola palma, mentre fuori una nube tossica – disegnata come un’unica macchia d’inchiostro – minacciava di inghiottire tutto.
Internazionale, numero 891, 1 aprile 2011
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