Questa casa non è un albergo. Il resto del paese sì. Il paese è – o forse era – Castiglioncello del Trinoro, frazione di Sarteano, in Toscana, sulle colline che chiudono a sudovest la val di Chiana, una decina di residenti ormai, ma forse meno. E un affaccio di bellezza straordinaria sull’intera val d’Orcia. La casa invece è quella di Lucia Salvadori, tra le poche in paese a essere ancora abitate e non trasformate in stanze d’albergo. Castiglioncello, infatti, in pochi anni è diventato un curioso miscuglio tra quel poco che resiste del vecchio paese e un albergo diffuso di gran lusso. Con la particolarità che qui non è, come di solito, l’albergo a essere diffuso nel centro abitato, ma è il centro abitato che sembra ormai diffuso dentro l’albergo.

“Avremmo voluto una vita diversa per il paese”, racconta Salvadori, seduta accanto al marito Claudio Socciarelli, nel tinello della loro casa, proprio all’entrata di Castiglioncello. La vita ora li ha portati a vivere soprattutto a Chiusi, pochi chilometri più a valle. Speravano di tornare definitivamente in paese dopo la pensione. “Purtroppo, difficilmente sarà possibile in queste condizioni”, dice Salvadori. “Per molti l’apertura dell’albergo è stata un miracolo perché ha portato posti di lavoro. E questo anche secondo me è un fatto molto positivo. E poi mi pare che i dipendenti siano contenti di lavorarci. Ecco perché noi non siamo contrari a questa situazione generale e, anzi, ci piacerebbe poterci convivere”, spiega. “Ma vorremmo anche che il paese rimanesse un paese, un luogo aperto a tutti, così com’è sempre stato”.

“Tutto è cominciato verso i primi anni duemila”, racconta il sindaco di Sarteano Francesco Landi, al suo terzo mandato, eletto con una lista di centrosinistra. È allora infatti che un investitore statunitense, Michael L. Cioffi, – avvocato di Cincinnati e professore aggiunto di diritto alla University of Cincinnati college of law – “compra una casa, e poi inizia a espandersi”.

“La prima volta che arrivai qui”, ricorda lo stesso Cioffi, “ero in vacanza in val d’Orcia. Mi suggerirono di salire fino a Castiglioncello. E rimasi molto colpito emotivamente da questo paesaggio così intatto. Me ne sono innamorato, e quando si è innamorati si fanno follie”. La follia, racconta, fu di comprare una casa, la prima di una lunga serie che “come molte altre era in stato di abbandono. Del resto”, aggiunge, “qui si viveva di agricoltura. C’è stato un momento, dopo la seconda guerra mondiale, in cui molte persone hanno cominciato a spostarsi verso le grandi città e una ventina di anni fa in molti volevano vendere quelle case ormai inutilizzate. Così, più d’uno mi chiese se io volessi comprarle”.

“Io non sono un costruttore”, dice ancora Cioffi, “sono un avvocato e un professore. E non ero venuto a Castiglioncello per sviluppare un’attività alberghiera”. L’idea era invece di dare vita a un centro in cui tenere seminari e lezioni. “Questo è un luogo di contemplazione, che aiuta a pensare”, spiega, indicando lo spettacolo straordinario della val d’Orcia che si apre ai piedi del paese, con bene in vista i monti Amiata e Cetona. Della sua impresa ne parla con un trasporto evidente, come se questo colle fosse per lui davvero una piccola acropoli moderna. “Cioffi ha dato vita a questo magico villaggio e ha creato il proprio movimento rinascimentale per il 21° secolo”, riassume con una certa enfasi il sito aziendale, mentre lui racconta che, accanto ai seminari di diritto, storia e filosofia, si decise di invitare musicisti, scrittori e pittori offrendo un periodo di residenza artistica, oltre a organizzare mostre e concerti aperti a tutti. Tutte attività che, spiega l’imprenditore, vanno avanti ancora oggi.

Castiglioncello del Trinoro, luglio 2024. (Alessandro Calvi)

Tuttavia, con la crisi che colpì anche gli Stati Uniti tra il 2008 e il 2010, le attività seminaristiche divennero non più sostenibili. Si pensò di fare della proprietà di Castiglioncello un albergo. Ed è allora che “una dopo l’altra le finestre del paese sono diventate tutte grigie”, ricorda Lucia Salvadori, spiegando che quello è lo stile dell’albergo e che da allora quel colore ha sostituito tutti gli altri che prima contraddistinguevano il paese. Ed è un particolare, certo, ma fotografa nitidamente una sensazione da cui si viene investiti fortemente quando oggi si arriva a Castiglioncello: passeggiando per le strade del paese sembra di camminare dentro un albergo, le sue vecchie strade come corridoi, per quanto di lusso. Pare insomma di trovarsi all’interno di una proprietà privata invece che in un paese.

Luca Benigni è un giornalista, e la storia di Castiglioncello l’ha raccontata sulla rivista Magnifica terra, progetto culturale di Vald’O, la vineria letteraria di San Quirico d’Orcia del giornalista Antonio Cipriani. “A Castiglioncello”, racconta Benigni, “ci ero capitato per caso un giorno con la famiglia, imboccando una strada bianca. Sarà stato vent’anni fa. C’era un bar, c’era gente in giro. Era ancora un paese. Poi ho saputo della metamorfosi che stava avvenendo. Ci sono tornato di recente e tutto era cambiato, non era più un paese. Sono rimasto sconcertato per la sensazione di estraneità che ormai dava camminare per le sue strade”.

Il posto, va detto, è comunque straordinario. A un paesaggio di bellezza struggente fa da contraltare la grazia delle vecchie case contadine. E a questo si aggiunge un restauro molto rispettoso, voluto dalla proprietà dell’albergo. Ma forse è anche la perfezione del restauro che, se regala stupore in chi viene come ospite della struttura, amplifica il senso di vuoto che si avverte passeggiando per strade che una volta erano animate da persone, e che oggi sono attraversate per lo più dai dipendenti dello stesso albergo. Mentre dietro le porte delle case si intravedono ambienti destinati a servizi o si indovinano camere da letto.

Il paese per secoli abitato da contadini, insomma, si mostra adesso quasi privo d’esistenza. Non c’è più neppure il vecchio bar, o comunque un luogo pubblico in cui incontrarsi. Gli unici servizi sono quelli offerti dal resort di lusso. “Noi”, racconta Claudio Socciarelli, “diciamo a tutti di venire qui a fare una passeggiata, come si è sempre fatto, e che Castiglioncello è ancora un paese. Ma nonostante questo molti pensano che sia solo un albergo”. Così, “noi si esce di casa, ci si mette in piazza e non c’è più nessuno. Di fatto il paese non esiste più perché non è più vivo”.

Il tema sembra ben presente anche in comune. Per definire la relazione tra pubblico e privato, spiega il sindaco Landi, “con un atto non soltanto simbolico abbiamo inserito lo stemma comunale sulle targhe che indicano i nomi delle vie”. E, tuttavia, racconta Socciarelli, “a lungo abbiamo chiesto che sulle due strade che arrivano in paese fossero ripristinati i cartelli che segnano l’inizio e la fine dell’abitato, indicandone il nome, come in ogni città e paese d’Italia”. Quello sulla strada per Sarteano fu smontato ed è rimasto appoggiato a terra, di lato, per anni, dice Socciarelli, mentre quello sulla via che scende in val d’Orcia fu smontato ancora prima perché danneggiato. All’entrata e all’uscita dall’abitato, invece, sono da sempre ben visibili i cartelli con il nome dell’albergo Monteverdi, moltiplicando in chi arrivasse dalla campagna la sensazione di essere in presenza di una struttura privata e non di un paese.

Le cose esistono quando è possibile nominarle, altrimenti assumono una natura diversa. Così che perfino a Sarteano può capitare che, dovendo indicare Castiglioncello, qualcuno usi direttamente il nome dell’albergo. Ma, poi, il destino, che a volte ama giocare con le coincidenze, ha voluto che quei cartelli siano stati ripristinati proprio negli ultimi giorni di luglio, subito dopo il passaggio di questo giornale per quelle strade. E così Castiglioncello ha almeno riavuto il proprio nome. Tuttavia, nel frattempo aveva perso la chiesa.

Il luogo della memoria, Castiglioncello del Trinoro, luglio 2024. (Alessandro Calvi)

Anche la vecchia chiesa nel centro del paese, infatti, è stata acquistata dalla proprietà dell’albergo, ed è stata sconsacrata. Diventerà una sala da concerto, uso che già in passato aveva avuto saltuariamente. Castiglioncello si trova così senza luoghi di aggregazione, anche religiosa. Per di più, la proprietà della chiesa è collegata a quella della piazza, che ne ha seguito la sorte, così che piazza e chiesa sono ormai diventate di proprietà privata. Ed è un fatto, questo, che in paese ha colpito molto, anche per le modalità un po’ carbonare, per così dire, con le quali sono andate le cose. “Anche noi”, ammette il sindaco, “abbiamo saputo in seconda battuta di questa vendita. Ho pensato che forse si sarebbe potuto procedere in un altro modo. Però”, dice Landi, “quella chiesa aveva bisogno di attenzioni che solo un privato poteva dare. Quanto alla piazza, escludo che possa essere preclusa all’utilizzo da parte della popolazione”. Ma intanto è in parte già usata come dehors dell’hotel.

“Come preservare il passato di questo luogo e la sua umanità dall’irruzione della modernità e dalle conseguenze della rivoluzione industriale, e come creare un collegamento con il passato anche per farci riflettere sulla modernità sono domande che mi faccio spesso”, risponde Cioffi. “A Castiglioncello”, prosegue, “non ci sono tombe etrusche, probabilmente perché gli etruschi lo consideravano un luogo sacro. Nei secoli, la chiesa cattolica su quel luogo ha costruito il suo luogo di culto, con una sovrapposizione che in Italia è molto frequente.

L’edificio”, spiega, “ci era stato affidato circa quindici anni fa e, dopo averlo mantenuto in ordine fino a oggi, ci è stato offerto in vendita, perché la curia non era più interessata né era in grado di occuparsi di quella chiesa. Così l’abbiamo comprata, anche perché aveva bisogno di essere restaurata a fondo, a partire dal rifacimento del tetto. Se non lo avessimo fatto, il tetto sarebbe crollato”. Inoltre, dice ancora Cioffi, “nell’atto di vendita la curia ha chiesto di rispettare il carattere sacro dell’edificio, e noi ci siamo impegnati volentieri, così come ci siamo impegnati a metterla a disposizione gratuitamente per matrimoni, battesimi o qualsiasi uso liturgico”. D’altra parte, conclude, “non importa di chi è l’edificio, ciò che importa è chi è in grado di preservarlo e di rispettarne la storia e il suo carattere unico, anche in favore degli abitanti della contrada”.

Per la Lucia Salvadori, però, la perdita della chiesa è un dolore che fatica a rimarginarsi. Su un lato della facciata, infatti, una lapide ricorda le vittime della rappresaglia nazista che qui si compì il 16 giugno 1944. Tra loro, anche suo nonno Quirino, mentre il padre, anch’egli messo al muro dai tedeschi, si salvò per miracolo. All’epoca aveva 16 anni. Negli anni del dopoguerra, racconta Socciarelli, “finì per essere considerato quasi come il sindaco del paese. Conosceva la storia di tutti, e quella del paese. Lo si incontrava sempre in piazza, proprio davanti alla chiesa. Si chiacchierava delle cose quotidiane, e del passato. Lucia è la custode di tutte queste storie”.

E poi, interviene la stessa Salvadori, “che fine hanno fatto le panche che nel tempo erano state donate alla chiesa dalle famiglie povere del paese? Erano un pezzo importante della nostra storia. La chiesa era del popolo, era un simbolo e doveva rimanere aperta a tutti”.

È evidente, insomma, che, con tutta la sua bellezza e le sue contraddizioni, Castiglioncello rappresenta un caso esemplare capace di raccontare i processi di trasformazione in atto nelle campagne italiane e nelle aree interne, trovandosi per di più in una situazione straordinaria: non è più un paese ma non è ancora neanche del tutto un albergo.

La strada che si è deciso di imboccare qui, fanno notare in molti, ha alcuni vantaggi. Intanto, “è stato possibile riqualificare un patrimonio edilizio che”, sostiene il sindaco Landi, “senza questo investimento era condannato. Per noi la tutela del borgo era un tema centrale, e non è mai stata messa a rischio anche per la sensibilità con cui è stato sviluppato l’investimento da Michael Cioffi, costruendo una relazione tra privato e istituzioni. Abbiamo cercato di coinvolgere anche la comunità locale che ovviamente si è chiesta se quella in corso fosse una colonizzazione o un’opportunità”.

Ma su questo, va detto, non tutti sono d’accordo, e c’è chi sostiene che Castiglioncello in questi ultimi anni abbia ormai perso la propria identità. Ciò su cui invece sembrano tutti d’accordo è il lavoro. L’arrivo del resort di lusso infatti ha garantito e continua a garantire molti impieghi, direttamente e indirettamente, “poiché”, spiega ancora Landi, “negli anni è nato e cresciuto un indotto fatto di piccole aziende e artigiani come fabbri, imbianchini o falegnami. In molti da fuori sono venuti a vivere a Sarteano, e questo significa per esempio che i loro figli andranno a scuola qui. I luoghi come Castiglioncello, che era già spopolata vent’anni fa, possono cambiare adattandosi alle nuove esigenze del tempo presente ma, come sindaco, per me il tema è anche se Sarteano potrà continuare in futuro ad avere una scuola”. Resta però da capire che genere di futuro si prepari per Sarteano e quale per Castilgioncello. La sensazione, almeno a Castiglioncello, resta infatti quella della fine di una storia, dello svanire di un patrimonio esistenziale e culturale stratificatosi nei secoli.

“Secondo molti”, dice la Salvadori, “questo era l’unico modo per salvare il paese. Però prima Castiglioncello ospitava un’umanità che oggi non trova più il proprio spazio”. La bellezza di paesi come questo infatti è un retaggio della cultura rurale che per secoli dalla necessità ha saputo trarre bellezza, sebbene spesso inconsapevolmente, come di frequente è successo nelle campagne italiane, e nell’Appennino. Di quella cultura le vecchie case di Castiglioncello sono espressione massima.

C’è da chiedersi, insomma, se l’economia sia l’unica risposta possibile alle questioni che pone la modernità. Il tema, in un certo senso, è ancora quello, evocato ormai alcuni decenni fa da Pier Paolo Pasolini, del rapporto tra sviluppo e progresso. È a ciò infatti che inevitabilmente si torna quando l’unico strumento che mettono in campo le comunità locali per mantenere i paesi, se non vivi almeno in piedi, sia di trasformarli in quinta per l’esperienza altrui, consegnandoli di fatto ad altri, mentre figli, nipoti, discendenti degli artefici di tutta quella bellezza ormai possono avervi accesso solo perché dipendenti, con una sorta di rinuncia alla propria storia, e perfino alla propria stessa identità.

“I luoghi sono aperti al pubblico e lo saranno sempre, incluse chiesa e piazza”, risponde Cioffi, ricordando anche che la contrada svolge le proprie feste in piazza “con il sostegno anche economico” dell’albergo, o che l’attività culturale svolta all’interno della chiesa è stata prevalente rispetto a quella liturgica, “di fatto inesistente”. Al di là di “alcuni sporadici battesimi e matrimoni”, va avanti l’imprenditore, “non vengono celebrate messe da molto tempo, neanche a Pasqua e a Natale, non essendoci più un sacerdote assegnato a Castiglioncello da tantissimi anni”. Nel frattempo, l’edificio “ha ospitato le esibizioni di artisti di fama mondiale, come John Eliot Gardiner, e la rassegna Incontri in terra di Siena”. E tutti i concerti, ci tiene a dire Cioffi, “sono offerti gratuitamente agli abitanti del paese, come ogni altra iniziativa culturale”. “Ma al di là di questo”, aggiunge, “penso che le cose vadano viste in una prospettiva più ampia”.

“Qui”, spiega, “sono passate popolazioni diverse. Per esempio gli etruschi e coloro che vivevano nelle grotte del monte Cetona. Noi proviamo le stesse emozioni di quelle persone, e questi luoghi hanno su di noi lo stesso impatto, così come sulla nostra creatività e sul nostro benessere. C’è una relazione umana con questo territorio che si protrae per secoli. È un luogo in evoluzione da sempre, ed è un luogo che con la sua bellezza insegna qualcosa a noi come a chi qui visse mille anni fa”. E comunque “l’idea con la quale ci muoviamo”, assicura, “non è di cambiare il passato o di costruire cose nuove, ma di conservare e condividere la storia del paese e di riconnettere il paese con essa”. “Non ho comprato intenzionalmente tutti gli edifici del paese”, spiega ancora, “perché lo vogliamo mantenere come paese, quindi pensiamo che debbano restare qui anche i residenti. E che magari arrivino anche nuove persone e famiglie”.

“Non ci sono soluzioni certe per i paesi che spariscono”, ragiona invece Luca Benigni. “Castiglioncello rappresenta un’ipotesi di futuro forse discutibile”, spiega, “ma sembra un processo inarrestabile. In questa condizione, l’unica cosa che si deve tener ferma è il rispetto dei luoghi”. E fortunatamente almeno qui nessuno pare interessato a quel genere di futuro che si sta consolidando nella vicina val d’Orcia, da qualche tempo consegnatasi a un turismo di massa che la sta trasformando rapidamente in una sorta di villaggio turistico, caricatura della toscanità.

Forse, per cominciare davvero una storia nuova, basterebbe poco. Basterebbe ripartire dalle persone. Forse, basterebbe intanto che riaprisse il vecchio bar del quale è rimasta solo l’insegna, perché in paese torni a vivere un luogo di aggregazione che spinga a venire, anche solo per una passeggiata, considerata la vicinanza con Sarteano e la val d’Orcia, ed eviti che le splendide strade che portano fin qui siano percorse solo dagli ospiti del resort di lusso. O che, come suggerisce Socciarelli, il comune organizzi qualche evento pubblico – un concerto, una mostra, qualsiasi cosa – se non altro per riabituare le persone all’idea che Castiglioncello è un luogo pubblico, riaffermandone così la natura.

Per il momento, tra i pochi luoghi che invitano alla sosta, c’è un pezzettino di terra che guarda verso la val d’Orcia. Si trova appena fuori dal paese, oltre il parcheggio dell’hotel. È ricolmo di fiori, di lavande e ginestre. E c’è una panchina. Appartiene a Lucia Salvadori, che è riuscita ad acquistarlo di recente, non senza difficoltà. Era il posto in cui lei da bambina aspettava i nonni che rientravano dai campi. “Si sedevano su quei sassi”, ricorda, “e ci raccontavano delle storie. Si restava lì, insieme. È il luogo della nostra memoria”. Tutto attorno, vive un paesaggio di bellezza straordinaria che, nella luce del tramonto, commuove. “La bellezza è democratica”, dice allora Salvadori. È quasi un programma politico. Ed è tutto ciò che sotto questa luce conta davvero sapere.

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