“Abbiamo pensato che volessero ammazzarci”: quando ripensa a quei momenti dentro all’ex ospedale trasformato in centro di accoglienza a via Codirossoni, a Torre Maura – nella periferia orientale di Roma – Zijo ha ancora paura. “Non mi ricordo nemmeno se abbiamo passato in quel centro quattro o cinque giorni, ma sono stati giorni di paura”. Ha 28 anni, ma sembra più grande della sua età.

È ancora spaventato mentre ripensa al tempo trascorso all’interno del centro di accoglienza in cui era stato trasferito insieme a sua moglie e ai suoi cinque figli. Aveva vissuto per sette mesi in un’altra struttura a via Giuseppe Toraldo, a Torre Angela, a pochi chilometri di distanza. “Perché ci vogliono così male? Perché ce l’hanno con noi?”, gli ha chiesto uno dei suoi figli, mentre all’esterno del centro gli abitanti del quartiere davano alle fiamme i cassonetti e calpestavano il pane destinato ai rom ospiti della struttura.

La più piccola dei suoi figli ha tre mesi, il più grande ha otto anni e frequenta le scuole elementari di Torre Angela. Ora una delle preoccupazioni di Zijo è assicurare continuità scolastica ai suoi figli: “Vorremmo che avessero un futuro diverso dal nostro. Io e mia moglie siamo cresciuti nei campi e nei centri di accoglienza, trasferiti di continuo da una parte all’altra della città e non siamo riusciti a frequentare le scuole, nessuno dei due ha un impiego”, racconta l’uomo che in passato ha lavorato come trasportatore e al momento è disoccupato, ma si è iscritto a un progetto di ricerca lavoro dell’Anpal, Garanzia giovani.

“Hanno minacciato di tirarci addosso delle bottiglie di benzina, ci tiravano dei sassi, avevo paura che succedesse qualcosa ai miei figli”, racconta. “Non uscivamo nemmeno per comprare da mangiare”. Nato e cresciuto in Italia da genitori originari della Bosnia-Erzegovina, Zijo ha lo status di apolide, come molti figli di rom arrivati in Italia durante la guerra dei Balcani. Anche sua moglie e i suoi cinque figli sono nati a Roma, ma non hanno ancora ottenuto la cittadinanza e hanno ancora bisogno di un permesso di soggiorno. I due giovani hanno vissuto per la maggior parte della loro vita nei campi, poi quando si sono sposati e hanno avuto il primo figlio hanno fatto domanda per ottenere una casa popolare. Sono in graduatoria, ma non hanno molti punti e per il momento non hanno nessuna speranza di ottenerla.

Si è parlato molto di guerra tra poveri, ma non mi sembra che questa sia una giusta definizione

L’alternativa ai centri sarebbe tornare per strada o nel campo insieme con la famiglia di origine, in container sovraffollati. “Per giorni siamo rimasti come in ostaggio”, continua Zijo. “Alcune famiglie hanno deciso di rinunciare all’accoglienza e hanno trovato una sistemazione a casa di amici, altri ancora sono tornati nei campi, dopo gli attacchi ricevuti”.

Il pomeriggio del 2 aprile, quando un gruppo di 77 rom (tra cui 33 bambini e 22 donne) è arrivato nel centro di accoglienza di Torre Maura, i residenti del quartiere sono scesi in strada per protestare. Il centro era un’ex struttura sanitaria riconvertita, in cui erano state trasferite le famiglie provenienti da un altro centro di Torre Angela, chiuso per diverse irregolarità. In serata i residenti hanno cominciato a protestare violentemente.

Poco dopo è arrivata una delegazione di CasaPound, guidata da Mauro Antonini, quindi un gruppo di Forza nuova. I militanti hanno gettato a terra i panini destinati ai rom e li hanno calpestati, dicendo “Zingari, dovete morire di fame”. Nella notte tra il 2 e il 3 aprile, il comune ha deciso di ricollocare temporaneamente le persone in altri centri della capitale.

Alla riunione di emergenza convocata dal municipio sono intervenuti a sorpresa anche alcuni abitanti di Torre Maura, che hanno minacciato di protestare a oltranza se le famiglie non fossero state spostate. “Sono intervenuta questa notte per evitare che la situazione degenerasse. C’era un clima molto pesante, di odio”, ha detto la sindaca Virginia Raggi per spiegare la decisione di spostare le famiglie presa dall’amministrazione capitolina. Ma molti l’hanno criticata, dicendo che ha dato un segnale di debolezza di fronte alle minacce e alle violenze strumentalizzate da gruppi dell’estrema destra.

“La cosa grave è che per due giorni queste persone sono rimaste in uno stato di segregazione, non potevano uscire, non ricevevano da mangiare”, commenta Paolo Ciani della Comunità di sant’Egidio che da anni si occupa dei rom nella capitale, consigliere regionale di Centro solidale. “Si è parlato molto di guerra tra poveri, ma non mi sembra che questa sia una giusta definizione: è evidente che non sono queste presenze a creare il problema delle periferie o ad acuirlo”, continua. “La vicenda di Torre Maura è particolarmente grave perché ha visto protagoniste delle persone che sono a Roma da molti anni, alcune sono anche nate in città. Molte di loro avevano già subìto sgomberi e ingiustizie da parte dell’amministrazione, come lo sgombero del Camping River che li aveva lasciati per strada la scorsa estate”, racconta il consigliere regionale. “Ma si è parlato di loro come fossero stranieri, persone appena arrivate, questo anche per colpa di forze razziste che li descrivevano come se fossero degli estranei”, conclude.

Intanto la procura di Roma ha aperto un fascicolo per danneggiamenti e minacce aggravate dall’odio razziale. Alcuni hanno raccontato di aver visto mazze chiodate nascoste dietro ai cassonetti e di una protesta che è sembrata tutt’altro che spontanea. Anche la malavita locale avrebbe avuto un ruolo nell’organizzazione della protesta.

Il deputato di Più Europa Riccardo Magi ha promesso di chiedere conto al ministero dell’interno per la gestione dell’ordine pubblico durante le proteste: “Per almeno due giorni abbiamo visto manifestanti spingersi proprio a ridosso del cancello del centro di accoglienza, in barba a qualsiasi norma di precauzione e sicurezza, rivolgendo alle persone ospitate insulti e gravi minacce regolarmente riprese dai media. C’è chi dalla recinzione della struttura ha gridato ‘ti taglio la gola’ all’indirizzo di minorenni. Non è ammissibile in un paese democratico tollerare fatti del genere, che sono dei reati e come tali dovrebbero essere perseguiti. Perché è stato consentito? Perché non è stato isolato il centro di accoglienza per garantire il diritto di manifestare e al contempo la sicurezza e la dignità delle persone accolte?”.

Il 3 aprile, durante i trasferimenti da Torre Maura ad altri centri, gli operatori della Sala operativa sociale hanno raccontato di essere stati pedinati, alcuni di loro si sono spaventati per una situazione particolarmente tesa. Uno dei problemi per l’amministrazione è stato trovare in tempi rapidi delle sistemazioni di emergenza nei centri di accoglienza che potessero ospitare anche dei bambini e che non costringessero a separare i nuclei familiari. A Roma, infatti, molti centri di prima accoglienza hanno posti solo per donne con bambini e questo costringe gli operatori sociali a separare i nuclei familiari, inoltre questo tipo di centri ospitano molte persone senza dimora e non sono sistemazioni ideali per delle famiglie con figli minorenni. Si tratta in ogni caso di sistemazioni provvisorie.

“I miei figli per molti giorni non sono riusciti ad andare a scuola e questo mi dispiace molto, ora spero che riescano a tornare nella loro classe”, dice Zijo, che con la sua famiglia invece è stato trasferito in un altro centro nel circuito della prima accoglienza del comune di Roma. “Quando vivevamo a Torre Angela le persone ci rispettavano, non abbiamo mai fatto del male a nessuno, vivevamo in una camera con cucina e ci trovavamo bene lì”, continua il ragazzo. “Chi ci attacca, non ci conosce. Pensa che siamo tutti uguali, ma si sbaglia. Prima di giudicare, avrebbero dovuto conoscerci: noi lavoriamo, sudiamo per portare a casa il pane per le nostre famiglie”.

Una nuova emergenza
Mentre a Torre Maura l’ex struttura sanitaria con le pareti azzurrine dove avrebbero dovuto essere ospitate le famiglie rom è stata chiusa, a Casal Bruciato è esploso un nuovo conflitto. Una famiglia di rom a cui era stata assegnata una casa popolare è stata costretta a lasciare l’abitazione e a rinunciare all’assegnazione a causa delle minacce ricevute. In seguito l’appartamento è stato occupato da un’altra famiglia che non ne aveva mai fatto richiesta. CasaPound ha organizzato un presidio permanente nella zona per sostenere l’occupazione. A Casalotti, inoltre, sono state organizzate altre proteste tra il 9 e il 10 aprile contro un presunto trasferimento dei rom di Torre Maura. Trasferimento che, tuttavia, non è mai avvenuto.

Per l’Associazione 21 luglio, che ha presentato il suo ultimo rapporto l’8 aprile durante la Giornata per i diritti dei rom, si sta fabbricando una nuova emergenza nella capitale e gli episodi degli ultimi giorni testimoniano solo un’escalation. “Dopo Torre Maura si temono in Italia focolai di pogrom contro i rom”, afferma il rapporto, che denuncia la presenza dei militari fuori dai campi, gli effetti del decreto Salvini che “genera irregolari”, l’aumento degli sgomberi delle baraccopoli informali, ma soprattutto un crescente clima di odio e intolleranza verso i rom che rafforza le politiche dell’esclusione e fomenta lo stigma e la costruzione di un vero e proprio capro espiatorio.

I campi monoetnici, più volte condannati dall’Unione europea, non sono stati superati, come invece era stato promesso dall’attuale amministrazione comunale in campagna elettorale, mentre sono aumentati gli sgomberi senza alternative, che hanno raggiunto numeri considerevoli nei primi mesi del 2019. “Ci sono una serie di fatti che messi in fila ci fanno lanciare un allarme preciso”, ha detto Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, ricordando il 2008, quando con un decreto emanato dal governo di Silvio Berlusconi venne dichiarata la cosiddetta emergenza nomadi nel Lazio, in Campania e in Lombardia. Grazie allo strumento dell’emergenza furono stanziati molti fondi per creare nuovi “villaggi attrezzati” in cui furono collocati i rom sgomberati dagli insediamenti informali. Il decreto è stato successivamente dichiarato illegittimo dal Consiglio di stato nel 2011 e dalla cassazione nel 2013.

Secondo l’Associazione 21 luglio e Amnesty international, ci sono diversi elementi che ricordano il clima di dieci anni fa: dalla militarizzazione dei campi, ai censimenti su base etnica, fino all’aumento di episodi di intolleranza e violenza contro i rom e gli sgomberi. Il decreto sicurezza approvato dal governo a ottobre del 2018 infine rischia di condannare all’irregolarità centinaia di famiglie originarie dell’ex Jugoslavia e oggi in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Secondo l’Associazione 21 luglio, in una fase in cui per la prima volta si assiste a una diminuzione delle famiglie di origine rom che abitano nelle baraccopoli formali e informali e contestualmente alla possibilità di utilizzare finanziamenti europei per la promozione di azioni di inclusione, “l’Italia sembra non cogliere la congiuntura favorevole, preferendo restare ancorata all’immagine stereotipata del rom visto come altro, estraneo”.

Nel 2018, come già l’anno precedente, nei campi rom del comune si è registrata una diminuzione degli abitanti dell’11 per cento: si è passati dalle 3.469 persone del 2017 alle circa 3.090 del 2018. Anche nei campi informali ma tollerati si è passati dalle 1.090 a circa 990 persone.

Secondo la 21 luglio, le principali ragioni della diminuzione dei numeri sono: “l’individuazione di soluzioni alternative autonome” e “l’accesso verso l’edilizia residenziale pubblica di numerose famiglie che avevano presentato regolare domanda grazie anche al lavoro di mediazione burocratica di alcune organizzazioni di volontariato”. Ma il clima che si respira in città e l’assenza di un piano efficace e strutturale per il superamento dei campi ha fatto sì che si riaccendano di continuo focolai di tensione. “Si sta facendo passare l’idea che le persone rom sono pericolose quanto un’alluvione o un terremoto, così da poter avallare l’utilizzo di sistemi, lesivi dei diritti umani, che consentono di violare la legge”, conclude Stasolla.

Per il presidente della 21 luglio una grande responsabilità deve essere attribuita alla politica e ai mezzi d’informazione che anche nel caso di Torre Maura hanno dato molto spazio alle strumentalizzazioni, mentre non hanno ascoltato la versione dei diretti protagonisti: “Come si sono accese le telecamere, tutti hanno avuto fretta di mettercisi davanti, ma nessuno è sembrato troppo interessato a tutelare davvero i diritti di queste persone”.

(Il nome di Zijo è di fantasia per proteggerne l’identità)

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