La mattina del 24 febbraio, quando è cominciato il conflitto in Ucraina, Jenia ha avuto un riflesso immediato: andare dai suoi genitori che vivono dall’altra parte di Mosca. “Ero sconvolto, mi sono detto che dovevamo stare tutti insieme, sostenerci emotivamente a vicenda”, racconta il fotografo di moda, 25 anni, andato a vivere da solo da pochi mesi. Nell’appartamento di famiglia, però, Jenia è stato accolto in modo diverso da come immaginava. “Mia madre era davanti alla tv, in estasi. Mio padre, disteso su divano, come prima cosa mi ha detto: ‘Tu sei dalla parte dei khokhli!’”.
Il termine russo khokhli, estremamente dispregiativo, indica gli ucraini. E secondo il padre di Jenia, operaio in una fabbrica di prodotti elettronici, il figlio stava dalla parte del nemico. Nei giorni successivi la situazione è peggiorata. I toni si sono alzati sempre di più tra il ragazzo e i suoi genitori, convinti che la Russia si stesse “solo difendendo” e felici del fatto che “la questione ucraina” si stesse finalmente “risolvendo”. Quando Jenia parlava della distruzione e delle sofferenze dei civili, la madre gli rispondeva che tra la popolazione si nascondevano i “nazisti”.
“Non abbiamo le stesse idee politiche, ma pensavo che questa guerra fosse qualcosa di radicalmente diverso, qualcosa che ci avrebbe permesso di capirci”, spiega Jenia, particolarmente sorpreso considerando che il padre “odia tutti i politici” compreso il presidente (la madre, sarta, è invece un’ammiratrice di Putin). “È la forza della propaganda. Sono riusciti a far perdere alla gente qualsiasi interesse per la politica, ma poi hanno risvegliato il popolo con un paio di parole chiave come ‘nazisti’ e ‘fascisti’… A quel punto scatta il pilota automatico. Tutto questo è rafforzato da una convinzione radicata nelle persone: la Russia non può sbagliare”.
Sanzioni in famiglia
All’inizio di marzo Jenia ha lasciato Mosca per trasferirsi in Armenia, l’unico paese che poteva raggiungere senza un visto e un passaporto internazionale. Le prospettive di lavoro sono limitate, ma almeno Erevan, capitale armena, gli sembra “viva”. Oggi il fotografo si sente libero. Come le altre decine di migliaia di esiliati fuggiti dalla Russia, i suoi motivi sono molteplici. C’è il disgusto nel vedere i suoi concittadini aderire in massa alla linea del potere, e considerazioni legate alla sicurezza: una sua amica è stata condannata a dodici giorni di prigione per un commento su Facebook in cui ha scritto: “Bisognerebbe manifestare”.
Anche le conversazioni tra Jenia e i suoi genitori hanno giocato un ruolo cruciale nella decisione: “Partendo ho adottato delle sanzioni personali contro i miei genitori”, spiega, scherzando solo a metà. “Tutte le sanzioni imposte dall’occidente non hanno alcun effetto su di loro, comunque non politicamente. Anzi, non fanno altro che confermare la loro idea secondo cui il mondo intero attacca la Russia senza motivo. Andandomene via voglio fargli capire fino a che punto l’argomento è importante per me, ricordargli che sostenere la guerra può avere conseguenze concrete. Lo considero un gesto civico”.
I giovani russi si scambiano consigli sul modo migliore per mantenere aperto un dialogo con i genitori, che li considerano “traditori”
Oggi i genitori sono tristi ma anche preoccupati, e secondo Jenia si tratta di un passo avanti: “Mio padre teme che io abbia problemi con la polizia quando rientrerò in Russia. Quindi, capisce la natura di questo regime. Per evitare le intercettazioni ha scaricato Telegram. Gli manca solo di abbonarsi a reti di informazioni serie!”. Telegram, oltre che un servizio di messaggeria considerato sicuro, è una fonte d’informazioni molto apprezzata in Russia, con centinaia di canali indipendenti (oltre a quelli vicini al potere).
Il caso di Jenia non è isolato. L’“operazione militare speciale” avviata da Vladimir Putin sta scuotendo profondamente la società russa, spaccando migliaia di famiglie. La figlia del popolare attore Vladimir Machkov, Masha Machkova, ha fatto notizia quando ha spiegato all’emittente americana Cnn che il padre l’ha accusata di “tradimento” perché era contraria all’operazione militare. Il tema è molto discusso sui social media, dove i giovani russi condividono l’amarezza di essere considerati “traditori” dai loro genitori e si scambiano consigli sul modo migliore per mantenere aperto un dialogo: mai alzare la voce, non cercare di inviare a tutti i costi i video più sconvolgenti.
Il rifiuto della politica
In questo fenomeno s’intersecano due scissioni, quella generazionale e quella dell’informazione. I più anziani continuano a informarsi solo attraverso la televisione, interamente controllata dal governo, e sostengono in maggioranza l’azione di Putin. I giovani, inclini a diversificare le fonti d’informazione, soprattutto su internet, criticano più spesso i messaggi del Cremlino.
Questo non significa che la maggioranza dei ragazzi sia contraria all’iniziativa del loro presidente. Già in condizioni normali e ancora di più in un periodo di repressione intensa, i sondaggi sono poco numerosi e vanno presi con le molle. Secondo l’istituto statale Fom il 31 per cento dei giovani tra i 18 e i 30 anni è contrario all’operazione speciale. L’unico sondaggio indipendente, condotto dall’istituto gestito dall’oppositore in esilio Alexej Minyaylo, riferisce che il 40 per cento dei giovani della stessa fascia d’età si dichiara “contro la guerra”.
Rispetto al totale della popolazione, il sostegno all’iniziativa del Cremlino oscilla tra il 50 e il 74 per cento a seconda delle indagini. La percentuale, in ogni caso, è in costante aumento. “Il discorso sulla grandezza della Russia fa breccia in molti giovani della mia età”, sottolinea Jenia. “Ma l’atteggiamento più diffuso, soprattutto tra quelli un po’ più grandi, è l’indifferenza. Lo vedo con mio fratello, che ha 32 anni. Nella sua cerchia va di moda essere apolitici, non avere un’opinione…”.
Nina, 35 anni, ha sperimentato sia l’indifferenza sia lo scontro totale con i due genitori, che vivono separati. Alla fine di febbraio la ragazza, giornalista moscovita, ha provato “orrore” per la situazione in corso e ha avuto bisogno di parlarne in famiglia. “Il mio mondo è crollato. I miei amici russi lasciano il paese, mentre quelli che vivono in Ucraina si nascondono nelle grotte… Ma per mia madre non è cambiato nulla. La guerra non le suscita alcuna emozione. Non vuole parlarne né tantomeno cercare di capire cosa sta accadendo. Fino a quando qualcosa non la tocca direttamente, ci scherza su. Le ho detto che potrei avere problemi a causa del mio lavoro, ma non vuole pensarci”.
Per Nina la reazione della madre, 58 anni e residente alla periferia di Mosca, evidenzia una psicologia “prettamente post-sovietica”. “Se esiste un problema bisogna guardare dall’altra parte e aspettare che passi. Il suo interesse non va mai oltre la sfera personale: la sua casa, i suoi figli, i suoi redditi, la cucina… Per il resto fa finta di nulla. Dato che lavora in una scuola, durante le elezioni fa la scrutatrice. Per lei è solo un modo per guadagnare qualche soldo in più. Non è affatto convinta che in Russia le elezioni siano regolari. Quando la sua direzione le ordina di votare, lei vota. Ma non le interessa”.
In un capovolgimento di Padri e figli di Turgenev, oggi sono i figli a mettere in discussione il nichilismo e l’indifferenza dei genitori
La reazione del padre di Nina, 65 anni, è stata molto più netta. Dopo la caduta dell’Urss l’uomo, ex medico, è diventato molto religioso. “Considera Putin come uno zar, quasi un uomo inviato da dio per salvare la Russia e il mondo”, racconta la ragazza. “L’ultima volta in cui abbiamo parlato di politica, nel 2019, mi ha detto: ‘Se non abbandonerai le tue idee contro Putin e contro lo stato ti rinnegherò’”. Nina non ha voluto affrontare con il padre la questione della guerra in Ucraina, ma l’uomo ha preso l’iniziativa attraverso alcuni messaggi. Anche lui ha parlato della difesa della Russia e della lotta contro il fascismo, ripetendo le tesi del regime trasmesse in tv.
Il padre di Nina rifiuta di riconoscere tutto ciò che contraddice queste idee, considerandolo “fake”, compresi i video inviati dalla figlia che mostrano la distruzione e le condizioni dei profughi. “Non volevo provocarlo. Volevo solo fare appello alla sua misericordia umana, cristiana, e mostrargli che qualcosa non torna”, spiega Nina. “Ma la sua ortodossia è identica a quella promossa dal patriarca della chiesa russa Kirill: la religione è inseparabile dallo stato, è al servizio della grandezza della Russia e accetta la violenza”.
Gli ultimi messaggi inviati dal padre di Nina evidenziano una certa radicalizzazione. L’ex medico si dice “fiero” di un conflitto che ha “risvegliato l’anima della Russia”, e parla dei “martiri” che combattono in Ucraina. “Il mondo intero osserva la Russia con grande speranza e prega per il nostro paese”, ha scritto alla figlia, che a questo punto preferisce non avere più contatti con il padre. “Secondo lui io sono contro la guerra perché sono stata ‘plagiata’ dalla mia conoscenza del mondo esterno e ho una mentalità che ‘non è russa’. Per lui sono diventata un nemico. Questo mi fa paura”, conclude Nina.
Le testimonianze raccolte sui social network non sono sempre così tragiche. Spesso mostrano generazioni che vedono la vita in modo radicalmente diverso, ma da entrambi i lati l’affetto resta quasi sempre presente, insieme alla volontà di capirsi. La generazione più giovane mantiene uno sguardo lucido e benevolo a proposito di quella dei genitori, con i loro traumi e il loro peculiare rapporto con la politica. A questo proposito viene in mente Padri e figli, il romanzo di Ivan Turgenev in cui alla metà del diciannovesimo secolo gli anziani rimproverano ai figli il loro nichilismo rivoluzionario. Nella “riedizione” del romanzo che va in scena oggi sono piuttosto i giovani a mettere in discussione il nichilismo e l’indifferenza dei genitori.
Paura di tutto
Marina, 26 anni, è stata profondamente scossa dal conflitto e parla con la madre ogni tre/quattro giorni. Moscovita e amministratrice del sito internet di un’azienda agricola, Marina sottolinea il ruolo delle fonti d’informazione. La ragazza legge Meduza, Mediazona, Doxa, The Village – “alcuni sono chiusi da un mese!” – o le pagine Telegram. La madre, 59 anni, contabile in un’azienda industriale, è invece una telespettatrice assidua. Ma secondo Marina il fossato che le separa è ancora più profondo di quanto sembri.
“Mia madre appartiene a una generazione che ha paura di tutto e per cui l’importante è non farsi notare. Il modo migliore per riuscirci è quello di non pensare a niente. Ha cercato di trasmettermi questo approccio, la paura di tutto ciò che è più grande di te o sconosciuto, la priorità della sopravvivenza e della tranquillità. Anche quando le parlo di quello che ho visto all’estero e che considero interessante, come il livello delle pensioni in Norvegia o la capacità dei francesi di difendere i loro diritti, mia madre ha paura. Preferisce sentire le parole che conosce, come ‘carestia’ o ‘prigione’…”.
Il risultato è che le conversazioni tra le due donne non portano a nulla e spesso si concludono in grida e lacrime. La madre di Marina ripete formule preconfezionate che servono a evitare il dialogo: “Mi dice che sono tutte manovre dei politici… Forse è così, ma alla fine dei conti sono le persone reali a soffrire! Mia madre è capace di avere convinzioni, ma nella sua testa tutto è confuso. Un giorno mi ha detto che Alexej Navalny è controllato dagli Stati Uniti, il giorno dopo mi ha detto che è manovrato da Putin, che lei detesta… Ma non è una vigliacca. Se avesse un figlio in Ucraina sarebbe pronta a tutto per salvarlo”.
Marina ha insistito perché è sicura che sua madre sia in grado di comprenderla. “Io sono omosessuale e lei è omofoba. Ma alla fine mi ha accettata e ha accettato la mia compagna. Mia madre non è stupida, sa cambiare opinione…”. A un mese dall’inizio dell’“operazione speciale” Marina crede che la madre abbia fatto un passo avanti. “Quando le ho detto che volevo lasciare la Russia si è infuriata, ma non con me. Ce l’aveva con quelli che decidono al nostro posto… Ora ammette che le cose sono più complicate di quanto racconti la tv. Capisce che le persone di Mariupol e Charkiv stanno soffrendo. Comprende che la Russia uscirà indebolita da questo dramma, almeno dal punto di vista economico”.
Con una svolta sorprendente e apparentemente paradossale, Marina ha deciso di sospendere la sua “offensiva” dell’informazione. “Il fatto che mia madre dubiti e non si accontenti di ripetere la propaganda è già un grande risultato per me. Spingersi oltre le farebbe del male, lo so già. È una donna fragile che ha vissuto diversi episodi di depressione. Il mio obiettivo non è quello di portarla verso una chiusura. Ho bisogno di una madre stabile”.
Un muro psicologico
Vika, 31 anni, artista originaria della Siberia, ha cercato in ogni modo di mantenere i contatti con la madre, spinta dall’amore che prova per lei. La ragazza – l’unica tra i nostri testimoni a rivelare il suo vero nome – è scappata in Turchia all’inizio di marzo, disgustata dallo slancio “patriottico” che domina il suo paese d’origine e preoccupata per la sua sicurezza. “In Russia mi sentirei incapace di esprimermi su qualsiasi cosa che non fosse il conflitto e di fare arte su altri temi, ma in quel caso in fondo alla strada c’è la prigione…”.
A Istanbul Vika si sente “come Tom Hanks in Terminal”, intrappolata senza denaro né progetti, assalita da tristezza e dubbi. Ma cerca in ogni modo di mantenere i contatti con la Siberia. “Il 24 febbraio ho subito chiamato mia madre”, racconta. “Mi ha spiegato che tutto andava bene, che l’attacco era stato lanciato per proteggerci… ma non sapeva dirmi da chi avremmo dovuto proteggerci! Non cerco di convincerla con la logica, ma voglio che almeno abbia una reazione umana, emotiva, che accetti il fatto che la violenza non può essere una soluzione”.
La madre di Vika ha 50 anni ed è un’educatrice di scuola materna. Come le madri di Nina e Marina, anche lei preferisce restare fuori del conflitto. Queste persone, tranquille e silenziose, accettano tutte le decisioni dello stato purché abbiano la possibilità di tenersene il più lontano possibile. “Mia madre abita in un luogo dove non ci sono mai state manifestazioni, dove l’espressione ‘opinione pubblica’ non significa niente”, spiega Vika. “Le persone come lei sono la maggioranza in Russia: povere, con un po’ d’istruzione, molto sole. La politica non c’entra, è una questione psicologica. È per questo che per me è così importante. Se posso sfondare il muro della paura e dell’indifferenza che circonda mia madre, allora anche il resto della Russia ha una piccola speranza”.
La vicenda di Vika mostra un altro grande divario emerso con il conflitto ucraino, importante almeno quanto la divisione generazionale: l’isolamento degli emarginati in questa Russia meno moderna di quanto si pensi, quello di donne vedove o non sposate abituate a difendersi da un mondo esterno ostile, quello degli abitanti delle città di medie dimensioni, dove paradossalmente si vive peggio, dove la maggioranza sostiene Putin e dove occuparsi di politica è un segno di idiozia o di incoscienza.
Alla fine di marzo un evento ha segnato profondamente la vita della madre di Vika: il rimpatrio delle salme dei soldati uccisi in Ucraina, tutti originari della città siberiana in cui vive. “Sono ragazzi più giovani di me… Mia madre non può fare finta che tutto questo non la riguardi”. La donna che in precedenza accoglieva con fastidio gli appelli della figlia ora è dubbiosa. Non vuole vedere filmati troppo violenti, ma chiede a Vika i link per leggere articoli e commenti degli esperti. Ha scoperto Telegram, dove si trovano le migliori fonti d’informazione ma anche le più confuse.
“Ha cominciato a farmi domande”, racconta Vika. “Non capisce più la propaganda della tv, perché ha un vocabolario nuovo. Mi chiede: ‘Cosa sono le fake news?’, ‘Perché parlano di neonazisti e non di nazisti?’, ‘Cosa sono gli agenti stranieri? E i bioagenti [Mosca sostiene di aver scoperto in Ucraina laboratori americani dove verrebbero create armi batteriologiche]?’. È impaurita dalla Z, diventata il simbolo del sostengo al conflitto. Non lo capisce, lo considera violento…”.
Preoccupata per la propria sicurezza, Vika si è rifugiata in Turchia all’inizio di marzo. Ha pubblicato su Instagram (vietato in Russia per “estremismo”) alcuni estratti delle sue conversazioni con la madre, insieme a consigli su come rivolgersi ai genitori evitando i temi che alimentano la rabbia. Tuttavia, esattamente come Marina, anche Vika non sa più dove fermarsi. La madre, diventata curiosa, ha paura. “Piange dicendo che tutto questo è orribile e che non possiamo fare niente. Aver aperto gli occhi la deprime”.
In Russia una generazione cosmopolita si scontra contro una generazione convinta che il cambiamento sia solo una pericolosa illusione. Pochi anni di differenza sembrano secoli. Pochi chilometri sembrano interi continenti. “Non ci facciamo illusioni sulla vita al di fuori della Russia, ma sappiamo che è possibile vivere in un altro modo. Speriamo che i nostri figli crescano in un paese normale”, spiega Vika. “Non so se i nostri genitori ci aiuteranno, capisco che è chiedere molto…. Ma almeno ora mia madre è capace di provare dolore insieme a me per i cinque amici che ho perso a Charkiv”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde.
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