Ci chiede un bambino con i capelli chiari: “Voi siete romene?”. Rispondiamo di no e chiediamo: “E voi?”. Si alzano otto mani, su meno di venti bambini.

Io e Simona Pampallona siamo all’Istituto comprensivo Giovanni Falcone di Ladispoli, in una delle tante classi delle elementari in cui la professoressa Angela Nicoara insegna per un’ora a settimana lingua e cultura romena.

Nella scuola, che comprende elementari e medie, su 915 bambini, 125 sono romeni, alcuni nati in Italia altri no. Per questo già da qualche anno il preside Riccardo Agresti ha approvato e porta avanti il progetto che Angela è riuscita a farsi approvare dal ministero della cultura romeno.

Tra le scuole, i corsi, i progetti per permettere ai bambini e ai ragazzi di seconda generazione di studiare qui in Italia la lingua del paese d’origine dei loro genitori che ho conosciuto negli ultimi mesi, il caso di Ladispoli è l’unico a coinvolgere la nostra scuola pubblica.

A Ladispoli, cittadina di poco più di quarantamila abitanti a trenta chilometri da Roma, il 10 per cento della popolazione è romena. Poi, ovviamente, ci sono molti altri stranieri, non ignorati dalla scuola, che porta avanti anche altre iniziative volte alla valorizzazione della seconda lingua dei bambini.

Una classe dell’Istituto comprensivo Corrado Melone a Ladispoli, giugno 2016. (Simona Pampallona per Internazionale)

Angela, una donna minuta, con i capelli biondi e lo sguardo gentile, ha 52 anni, una figlia di 29 laureata in ingegneria che è andata in Inghilterra con il marito, anche lui ingegnere, e il figlio piccolo, perché lì hanno trovato il lavoro che in Italia non trovavano. Angela è arrivata a Ladispoli da Bucarest nel 2005 ed è riuscita in un’impresa rara: trovare qui lo stesso lavoro che faceva lì. Per i primi anni ha offerto il suo lavoro volontario alla scuola elementare e media della cittadina laziale. Dal 2007, grazie a un progetto di integrazione voluto dal ministero della cultura della Romania, in quella stessa scuola insegna lingua e cultura romena ai bambini e alle bambine, un’ora alla settimana in ogni classe.

Sono timidi all’inizio, i bambini di una terza elementare che incontro una mattina di febbraio, poi cominciano a rispondere alle mie domande. Piace a tutti, dicono, quell’ora alla settimana con la maestra Angela, ai romeni e agli italiani, mi fanno vedere i quaderni con una poesia di Mihai Eminescu, il loro poeta più importante.

Un pasticciaccio brutto a Ladispoli

Il preside, Riccardo Agresti, mi racconta il pasticciaccio che ha vissuto, all’inizio dell’anno scolastico, dopo aver preso la direzione anche di una seconda scuola, l’Istituto comprensivo Corrado Melone, quando un giornalista della cronaca locale del Messaggero ha scritto un articolo per raccontare il progetto. Un articolo di cronaca, senza intenzioni, ma intitolato “A Ladispoli rumeno obbligatorio a scuola”. Tra i primi a leggerlo e a reagire c’è stato Matteo Salvini, che ha twittato la notizia con aggettivi di incredulità e rabbia. Così quel progetto, già stabile, è stato all’improvviso messo in discussione anche da alcuni genitori, che si sono chiesti se gli studenti stranieri non dovrebbero pensare a imparare l’italiano, se non dovrebbero piuttosto imparare l’inglese. Il preside ha risposto a tutti, paziente e scherzoso, che infatti imparano l’italiano e anche l’inglese, i suoi piccoli studenti.

Ora la situazione è tornata alla normalità ma in quel periodo, lo scorso settembre, un genitore, padre di una ragazzina delle medie che, durante un litigio ha rivolto degli insulti razzisti a una sua compagna romena, ha accusato il preside di essere poco patriota, lo ha attaccato con parole dure e anche con lanci di oggetti e calci sulle gambe. Il padre della ragazzina italiana, mi dice poi il preside, è sposato con una donna brasiliana.

Supermercato di prodotti romeni a Roma, giugno 2016. (Simona Pampallona per Internazionale)

Lo scorso febbraio sono stata ospite di due scuole di Berlino che fanno capo a un progetto di scuola europea: scuole pubbliche in cui i bambini e i ragazzi possono studiare in due lingue. Si chiamano Ses, Staatliche Europa schule Berlin e sono nate, nel 1991, con tre combinazioni linguistiche (tedesco-inglese, tedesco-francese e tedesco-russo), in fase sperimentale. Ora sono 17, contano più di seimila studenti e le lingue sono aumentate, comprendendo anche il greco, lo spagnolo, il portoghese, il polacco, il turco e l’italiano. Non sono scuole d’élite, per i figli di diplomatici o di famiglie facoltose, sono scuole pubbliche, nate dal riconoscimento, in una società come la nostra, dell’importanza del bilinguismo, dell’apprendimento e della valorizzazione della lingua del paese d’origine, o dei genitori, dall’idea che sia più facile imparare il tedesco se lo si usa insieme alla propria lingua. E, d’altro canto, dal riconoscimento dell’importanza per i bambini tedeschi di conoscere le lingue dei loro coetanei che, insieme a loro, vivono la città.

In questo momento gli italiani a Berlino sono 26.387, sono aumentati del 18,8 per cento dal 2013 al 2015 diventando la quinta comunità, e le scuole europee in cui si insegna l’italiano sono due, in un quartiere popolare e in uno borghese.

In Italia il Miur diffonde dal 2006, aggiornandole, le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione di alunni stranieri, in accordo con la lunga e dettagliata Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli per una educazione plurilingue e interculturale del Consiglio d’Europa (2010), che invitano gli insegnanti ad attuare un insegnamento che tenga conto della lingua d’origine. Ma non c’è nulla di strutturato, nessun obbligo, nulla che non sia lasciato all’iniziativa dei singoli insegnanti.

In Italia si fa ancora fatica a far entrare realmente nella scuola politiche di integrazione efficaci

Entrambi i documenti mettono al centro l’importanza della valorizzazione delle diversità culturali e dell’apprendimento bilingue, fondamentali per il pieno inserimento di tutti i cittadini e le cittadine nella società.

Nel nostro paese, dove nell’anno scolastico 2013/2014 per la prima volta gli alunni di cittadinanza straniera nati in Italia hanno superato quelli nati all’estero, a seguito di un andamento dell’immigrazione sempre più stabile e di lunga durata (Dossier statistico immigrazione 2015) si fa ancora fatica a far entrare realmente nella scuola politiche di integrazione efficaci, salvo singoli casi, come, per stare su Roma, la scuola Pisacane di Torpignattara o la Bixio di piazza Vittorio.

Una comunità numerosa

I romeni a Roma sono 89mila e sono la comunità straniera più numerosa, così come nel resto d’Italia, dove sono più di un milione (Dossier statistico immigrazione 2015). Già numerosi dagli anni ottanta, hanno raggiunto il primato da quando, nel 2007, la Romania è entrata nell’Unione europea.

I festeggiamenti di un matrimonio romeno a Roma, giugno 2016. (Simona Pampallona per Internazionale)

Sono molti i luoghi di ritrovo, le chiese ortodosse dove si celebra il rito in romeno, le riviste di attualità e cultura, i locali dove si canta il karaoke in romeno, i ristoranti, c’è anche, vicino alla stazione Tiburtina, un supermercato che vende solo prodotti romeni, ristoranti. Sono molte anche le associazioni (un elenco lo si trova su romamultietnica.it, prezioso strumento per chi vuole esplorare i mondi degli stranieri a Roma), rivolte ai giovani, alle categorie di lavoratori, ai genitori.

Come l’Associazione dei genitori romeni in Italia, di cui è presidente Costantin Sorici, che incontro a San Lorenzo e mi racconta un po’ della sua vita, che ora è per metà qui e per metà in Romania. Parliamo della somiglianza tra i nostri cognomi e di quella tra il romeno e il sardo, le due lingue neolatine più conservatrici, per via del loro isolamento, la Sardegna perché circondata dal mare, la Romania da paesi in cui si parlano lingue slave. Parliamo dei suoi connazionali, che lavorano soprattutto nell’edilizia e nell’agricoltura (molti sono i pastori in Sardegna), nell’assistenza domestica se sono donne.

Molti altri sono giovani, sono arrivati negli ultimi anni, come la coppia di sposi che festeggia il matrimonio al ristorante italoromeno Las Vegas, un sabato sera in cui contemporaneamente, in altre sale del locale, si festeggiano due battesimi e delle nozze d’argento. La proprietaria, Luciana, è simpatica e accogliente, alle pareti ci sono grandi foto di campagne romene, sulle mensole le bomboniere lasciate dai festeggiati nel corso del tempo, bamboline con i costumi tipici che mi sembrano uguali a quelle sarde.

Siamo in fondo alla via Appia Nuova, quasi a Ciampino, tra strade a quattro corsie, svincoli per il raccordo, campagna e rovine romane sull’Appia Antica, la strada che, nei secoli, ha portato verso il mare, verso il porto di Brindisi, verso l’oriente.

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