Per molti genovesi è il sindaco della ricostruzione. Caschetto giallo in testa per le mille celebrazioni che punteggiano l’edificazione del nuovo ponte sul Polcevera, Marco Bucci ha costruito la sua immagine sulla retorica del riscatto di una città ferita dal crollo del ponte Morandi il 14 agosto 2018 e, ancor prima, da anni di crisi economica e demografica che, al di là della retorica, non si è mai arrestata, come certificano i dati sugli abitanti.

Ma il primo sindaco di centrodestra nel capoluogo ligure da quando nel 1993 è stata introdotta in Italia l’elezione diretta è anche l’uomo che ha portato in città le parole d’ordine della destra sovranista e identitaria. Contro le persone lgbt in nome della difesa della famiglia tradizionale, contro i senzatetto, i migranti, le prostitute, in nome del decoro.

Tutto è cominciato, come spesso succede nella politica italiana, con le battute. Il 7 ottobre 2017 – a tre mesi dall’insediamento della nuova giunta – durante un incontro in periferia il neoassessore leghista Stefano Garassino disse che avrebbe preso “a calci nel sedere” chi chiede l’elemosina, salvo poi derubricare il tutto a provocazione. Ma in seguito sono arrivate le multe per chi rovista nella spazzatura e dorme per strada. Dal 2019 sono tornate le multe anche per le prostitute. E, nel giugno 2018, un’ordinanza denominata “anti kebab” ha introdotto limitazioni alle nuove licenze nel centro storico contro l’imprenditoria straniera: no anche a negozi di telefoni, macellerie che vendono prodotti non italiani, phone center, money transfer e altri.

Parallelamente il sindaco – che cinque giorni dopo la vittoria alle elezioni promise che non avrebbe più concesso il patrocinio al pride – ha istituito un registro delle famiglie tradizionali e ingaggiato una battaglia nei tribunali contro le famiglie arcobaleno. “Destra e sinistra sono per me categorie superate”, ha dichiarato in un’intervista del luglio 2019, prima di varare un rimpasto che ha spostato il baricentro della giunta ulteriormente verso la Lega.

Bucci, dall’alto di una popolarità che oggi sembra indiscussa, sta cambiando il volto della città? “Genova è culturalmente contendibile”, dice Domenico Chionetti, ex portavoce di don Andrea Gallo e oggi presidente della comunità di San Benedetto al Porto. La sua è una delle tante voci che, insieme a quelle dei volontari per il sostegno ai senzatetto e alle vittime di tratta, degli attivisti lgbt e delle femministe, raccontano una città in bilico.

Tra i senzatetto
È un venerdì sera di fine ottobre, e come tutte le settimane i volontari di Sant’Egidio si incontrano in piazza della Nunziata per il consueto giro di Genova durante il quale incontrano e aiutano i senzatetto. “I senza dimora in città sono circa mille”, spiega Maurizio Scala, volontario storico dell’associazione e responsabile del servizio. “Trecento in strada, trecento-quattrocento nei dormitori, duecento-trecento in alloggi di fortuna. Non sono aumentati negli ultimi anni perché esiste una rete di supporto familiare e, per gli stranieri, di connazionali. Ma non sappiamo quanto può reggere. Abbiamo cominciato a distribuire coperte anche a chi vive in casa ma non ha soldi per il riscaldamento”.

Seguo quattro volontari – Sergio, Marco, Nicoletta e Angelo – a cui è stata assegnata la parte di città che si estende dalla stazione Brignole verso est. Prendiamo l’auto e, dopo pochi minuti, ci fermiamo lungo il Bisagno, in una piazza dove ci aspettano quattro uomini, due a un capo e due a un altro. Consegniamo vaschette con pasta al pomodoro, pollo e fagiolini. Karim, un ragazzo di meno di trent’anni, magrebino, mi racconta di sua figlia, che vive ad Ancona con la madre. Lui dorme in un’automobile. “Mai avuto problemi con carabinieri o polizia, ma i vigili… quelli li devi evitare! Altrimenti finisci in questura”. Da luglio 2017 i senzatetto sono stati multati 217 volte. Solo due sanzioni sono state pagate. Il consigliere comunale del Movimento 5 stelle Stefano Giordano ha presentato un esposto alla corte dei conti per danno erariale, parlando di “uno spiegamento di forze, e quindi di risorse pubbliche, del tutto inutile e non giustificato da quanto riscosso”.

Dall’altra parte della piazza, intanto, un uomo tra i quaranta e i cinquant’anni alterna lacrime e risate. Ha cominciato a bere di più negli ultimi mesi. Le cose per lui non vanno bene nel suo paese d’origine, il Marocco, dove ha litigato con i fratelli per un’eredità. A Genova, racconta Sergio, “aveva un piccolo riparo di cartoni sotto il ponte sul Bisagno. Quando una sera non l’ha più trovato, per lui è stata una rovina”. La maggior parte dei senzatetto che incontriamo ha trovato posti riparati per la notte, si fa vedere solo quando arrivano i volontari. “Attorno a loro”, spiega uno dei volontari, “si generano sentimenti opposti: a volte di vicinanza, a volte di ostilità”. E allora arrivano le chiamate ai vigili e ai netturbini, perché buttino via i cartoni.

Un senzatetto in via XX settembre, Genova, novembre 2017. (Davide Pambianchi, Freaklance)

Nel luglio scorso, quando è stato multato un senza dimora che dormiva nella centrale piazza Piccapietra, i gesuiti dell’Opera di San Marcellino hanno scritto che “l’ingiustizia sociale è una bestemmia”. Le multe di Bucci hanno scandalizzato tanti, “ma sono oramai una decina di anni che per le amministrazioni il problema è spostare queste persone, senza occuparsi del diritto alla casa”, spiega Scala. Le stazioni ferroviarie, passate sotto l’amministrazione di Grandi Stazioni e riempite di negozi che hanno sostituito le sale d’attesa, sono luoghi non più facilmente accessibili per i senza fissa dimora, gli inviti a sgomberare – anche senza le multe – a Genova c’erano pure prima. Ora però l’obiettivo del comune è arrivare ai daspo urbani, cioè cacciare definitivamente dal centro queste persone.

Intanto, gruppi come Sant’Egidio crescono. La mensa, aperta quattro anni fa con trenta-quaranta volontari, oggi ne conta cento-centocinquanta. La comunità gestisce anche 15 alloggi per dei percorsi di reinserimento e un servizio docce. I punti di aiuto ai senzatetto in città, in gran parte gestiti da organizzazioni vicine alla chiesa cattolica, sono un centinaio: mense, avvocati di strada, centri di distribuzione di vestiti e coperte. “A Roma sono 180”, ricorda Scala. “Oggi intorno al mondo dei senzatetto a Genova si muovono 300-400 volontari. Credo sia per questo, per la consapevolezza diffusa del problema, che non registriamo una crescita del clima d’odio”.

Sono le dieci di sera, il giro sta per finire. Lungo via Cecchi, i volontari vedono una donna accucciata tra due automobili posteggiate. Si chiama Diana, di lei sanno poco. Viene da un paese dell’Europa dell’est, forse dall’Ucraina. Quando la svegliano per darle il cibo piange e parla di aerei, di oggetti rubati, si tiene la testa tra le mani. Il tempo di andare a recuperare una coperta e si mette a urlare al vento. “Sicuramente ha avuto un trauma”, racconta Sergio. In più occasioni il sindaco ha detto di essere favorevole all’accoglienza, ma che non può accettare persone che dormono per strada, che hanno comportamenti contrari al decoro. Diana, secondo questi criteri, andrebbe multata.

Sfruttamento
Insieme ai senzatetto, anche le prostitute sono nel mirino del comune di Genova. Domenico Chionetti, della comunità di San Benedetto, mostra una multa fatta a una donna lo scorso luglio nella zona dell’angiporto: 150 euro perché indossava “vestiti indecorosi”, secondo il regolamento – in vigore prima di Bucci, ma quasi mai applicato – che all’articolo 16 sanziona “comportamenti diretti in modo non equivoco a offrire prestazioni sessuali dietro corrispettivo”. Dopo questa contravvenzione, spiega Chionetti, ne sono state fatte altre ad altre donne.

Sono frutto di un’indicazione del comune? Il portavoce del sindaco dice che a lui non risulta, ma non ha risposto ad altre domande sulla questione. Nel 2010 la giunta Vincenzi (centrosinistra) voleva multare anche i clienti e dichiarava di voler impegnare il ricavato nella lotta alla tratta che invece, secondo la nuova amministrazione, praticamente non esiste.

Nel gennaio del 2018 l’assessore Garassino, negando di voler multare le lavoratrici del sesso e i loro clienti, disse che “l’80 per cento non è sotto padrone”. “La quasi totalità delle 300 prostitute in strada, tra centro storico e angiporto, sono vittime di tratta”, sostiene invece Chionetti. “Loro negano di essere costrette, ma sappiamo che non è così”.

Via della Maddalena, Genova, novembre 2015. (Davide Gentile, Freaklance)

Nel rapporto del progetto ligure Hope this help, finanziato con i soldi della regione e finora unico intervento pubblico significativo sul tema, si legge che “le modalità di sfruttamento si sono fatte più soft, più legate a strategie di manipolazione psicologica”. Il rapporto sostiene anche che il fenomeno è sempre più difficilmente mappabile, anche perché le risorse sono scarse. La comunità di San Benedetto è tra le poche realtà che ancora se ne occupa. “Don Gallo diceva che sono i contesti a essere degradati, mai le persone”, ricorda Chionetti. “Rispetto a sei anni fa, quando era ancora vivo, la vita di queste persone si è fatta più difficile. Noi però continuiamo a lavorare, come associazione siamo anche cresciuti. Non era scontato”.

“Se questa storia delle multe si estendesse anche al centro storico sarebbe una rovina”, spiega Andrea Piccardo, commerciante della Maddalena, che da oltre vent’anni gestisce un negozio dove vende miele di sua produzione letteralmente in mezzo alle prostitute, che aspettano i clienti a pochi metri dalla sua saracinesca. “Mi pare inutile perché rafforzerebbe il potere di coercizione della criminalità su di loro”. Piccardo da anni è impegnato con diverse associazioni, tra cui Libera, per il rilancio del quartiere. “Ma la guerra all’illegalità qui nel centro storico ora si fa andando a cacciare i pesci piccoli”, continua. “A questa amministrazione piacciono gli interventi spot: fanno sgomberare a tappeto alcune persone che occupano case e bassi ma non si accorgono che senza nessun tipo di sostegno sociale, le persone buttate fuori a volte sono costrette a rivolgersi alla criminalità per tornare negli edifici. Inoltre, sta tornando il racket, la violenza nei confronti dei negozianti”.

Emblematica è la vicenda degli immobili sequestrati nel 2009 alla famiglia Canfarotta e poi confiscati. Rimasti in mano alla criminalità per l’incapacità delle diverse amministrazioni centrali e locali di gestire il ritorno alla legalità, occupati da prostitute vittime di tratta, persone con dipendenze, spacciatori, piccoli criminali e poveri senza casa, oggi versano in uno stato tale di degrado da crollare a pezzi. Letteralmente: uno di questi edifici, non lontano dal negozio di Piccardo, “è collassato al suo interno andando a otturare una fognatura che da mesi scarica a cielo aperto, poco lontano dall’asilo della Maddalena”. Pochi metri più in là, in via Luccoli, dove ci sono le vetrine per i turisti, comune e commercianti hanno deciso di disseminare la via, in occasione del Salone nautico alla fine di settembre del 2019, di boccioni di profumo da dieci litri – basilico e limone – per “una suggestione sensoriale diffusa su un percorso olfattivo”. Di togliere spazi alla criminalità organizzata, di liberare le donne dalla tratta, non si parla.

Diritti
Il 15 giugno 2019, a sorpresa, il sindaco si è presentato al pride dopo aver definito, l’anno prima, la manifestazione “offensiva” e “divisiva”. “Sono venuto a salutarvi perché sono il sindaco di tutti”, ha detto agli organizzatori. Ma le politiche vanno in senso opposto. La sua amministrazione ha prima rifiutato di iscrivere all’anagrafe una coppia di mamme lesbiche e quando queste hanno vinto il ricorso in tribunale, ha fatto ricorso in appello.

“Ci sono 12 casi pendenti. L’amministrazione vuole andare fino alla cassazione e usa i soldi dei cittadini per farci la guerra”, racconta Ilaria Gibelli, attivista, avvocata e madre insieme a Claudia di una bambina di due anni. Il suo caso ha fatto da battistrada per tutti gli altri. “Quando siamo andati dal sindaco a chiedere diritti, ci ha risposto che l’unico diritto che vedeva era quello che noi avevamo tolto a nostra figlia di avere un padre”. Il portavoce del sindaco nega che questa frase sia mai stata pronunciata, mentre la conferma un secondo attivista presente all’incontro.

Il gay pride a Genova, 18 giugno 2016. (Davide Gentile, Freaklance)

Parallelamente, è stato istituito un registro delle famiglie per sostenere le coppie sposate con figli, indipendentemente dal loro reddito, ma a cui non possono iscriversi coppie senza figli, famiglie monoparentali, omosessuali, divorziati, vedove e vedovi. “Di fatto, il registro esclude più della metà dei nuclei familiari genovesi”, racconta la segretaria Cgil Elena Bruzzese, che ha portato il sindacato in piazza a protestare con i movimenti lgbt e le femministe di Rete di donne per la politica e Non una di meno.

“Questa giunta, come tutte le destre in Europa, individua la famiglia tradizionale come luogo del consenso”, racconta Laura Guidetti, attivista di Rete di donne per la politica e Non una di meno, “ma delle famiglie reali a loro interessa poco. Gli interessa dare voce e sostegno a una costellazione di associazioni e realtà che sono poi quelle che hanno promosso il congresso mondiale delle famiglie di Verona, mentre i progetti di contrasto alla violenza di genere, il sessismo, l’omofobia, si sono fermati”.

“Con il comune i rapporti sono a zero”, racconta Rita Falaschi, volontaria in un centro antiviolenza. La incontro al termine di una “marcia in rosa” a cui hanno partecipato diverse migliaia di donne, una delle molte iniziative che organizzano per trovare finanziamenti. “Questa amministrazione porta avanti messaggi contraddittori”, racconta. A settembre è stato concesso il patrocinio – poi smentito, sostenendo che il logo del comune era stato usato in maniera non autorizzata – alla presentazione di un libro scritto da un uomo che nega la violenza di genere e secondo cui il reato di stalking è usato per incastrare gli uomini.

Uno degli effetti delle politiche di Bucci è aver accelerato un processo di avvicinamento tra mondo femminista e lgbt che era già in atto da tempo. Nel 2014 un gruppo di volontari decise di festeggiare la giornata contro l’omofobia (il 17 maggio) con una festa in piazza. La manifestazione, considerata un successo, è stata replicata negli anni seguenti con una cena pubblica e aperta a tutti, seguita poi dal pride a giugno-luglio. Nel 2015 al corteo hanno partecipato tremila persone, nel 2019 20mila, numeri su cui concordano (forse unico caso in Italia) organizzatori e questura. Nel 2019, inoltre, il pride è stato anticipato da una settimana di incontri e concerti. Oggi il coordinamento Liguria rainbow tiene insieme femministe, movimenti lgbt, associazioni come Amnesty international e San Benedetto al Porto e ha per i suoi eventi il supporto, tra gli altri, della Cgil e degli scout laici del Cngei. Diventando così un punto di riferimento di un dissenso ben più ampio di quello che si raccoglie intorno ai diritti civili.

“Il patrocinio per i nostri eventi non lo chiediamo più”, racconta Stefano Musso, padre insieme a Giovanni Fantoni di un bambino di tre anni, referente ligure di Famiglie Arcobaleno e attivista del coordinamento, “perché non ci interessa il sostegno di un’amministrazione che multa i senzatetto e discrimina le nostre famiglie, così come i genitori single, i divorziati e ogni nucleo che non rientri in un concetto di ‘tradizionalità’ usato come una clava nei confronti delle persone reali”.

Le bandiere della Cgil, la cui storia genovese è legata a doppio filo alle fabbriche, oggi fanno capolino ai pride mentre i movimenti femministi e arcobaleno, a loro volta, dialogano con chi lavora nella lotta alla povertà, a sostegno dei senzatetto e delle prostitute. “Una volta una sociologa che fa parte del coordinamento Liguria rainbow”, dice Stefano Musso, “ha detto che se mai ci fosse una cosa buona di questa ondata di politiche discriminatorie, è quella di aver creato un noi compatto. Oggi siamo un noi che propone un’idea diversa di città”. Quanto questo noi sia capace di contrastare la destra è un’incognita ancora irrisolta.

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