Sono le nove e mezza di sera del 14 luglio e nel piazzale di fronte allo stadio di San Siro, a Milano, più di un centinaio di persone si tengono per mano a formare un cerchio. Qualcuno solleva la torcia del telefono come si fa, ai concerti, per segnalare la propria vicinanza all’artista durante una canzone particolarmente toccante. Nell’aria si sentono, nitide ma lontane, le note di una canzone di Taylor Swift: “But i can see us lost in the memory/ august slipped away into a moment in time/ ‘cause it was never mine”.
C’è chi indossa vestitini leggeri di tulle color pastello e chi una minigonna di paillettes luccicanti, o ancora scomodissimi stivali e cappelli rosa da cowgirl dei fumetti. Un ragazzo ha in testa un cappello attorno a cui è attorcigliato un delicato filo di finte foglie d’edera. Tre amiche hanno orecchie e code da gatto. Sono vestite come i tre gatti di Swift: Meredith Grey, Olivia Benson e Benjamin Button. Moltissime altre sarebbero vestite in modo anonimo, se non fosse per la maglietta che sistematicamente indossano, su cui troneggia la scritta “The eras tour 2023-2024”. Nell’aria di luglio c’è un intenso odore di antizanzare. Dietro di me, una ragazza dice a un’amica, ridendo: “Probabilmente siamo più belli noi di quelli che stanno lì dentro”.
Per il nuovo, mastodontico tour di Taylor Swift – più di 150 date in decine di paesi dal marzo 2023 al dicembre 2024, tre ore e mezza di spettacolo, più di quaranta canzoni – sono stati venduti milioni di biglietti. Anche così, però, un numero incalcolabile di persone è rimasto fuori dagli stadi. Letteralmente: fin dalle prime date negli Stati Uniti, è successo quasi sempre che tantissime e tantissimi fan senza biglietto si siano incontrati fuori dai luoghi degli eventi. A febbraio all’esterno del Cricket ground di Melbourne, in Australia, si è per esempio stimato che ce ne fossero diecimila. A Milano, il 13 e 14 luglio, erano perlomeno varie centinaia a cantare, ballare e fare amicizia tra i furgoncini pronti a vendere spritz, patatine, panini unti, ghiaccioli.
Come ha fatto Taylor Swift a costruire un impero
Lo stereotipo comune vuole che la tipica persona appassionata di Taylor Swift – swiftie – sia una ragazzina bianca, adolescente, cisgender, eterosessuale e un po’ isterica, meglio se frivola e ignorante in quanto a ulteriori gusti musicali. È un’immagine che si è creata quasi vent’anni fa, quando Swift ha cominciato a pubblicare i primi album country, e che si è ulteriormente sedimentata negli anni dieci, tra album spiccatamente pop come 1989 e costanti apparizioni della cantante tra le pagine delle riviste di gossip.
Lo stereotipo, naturalmente, non aderisce alla realtà, fosse solo perché oggi le persone che sono cresciute con i primi album di Swift hanno trenta, talvolta anche quasi quarant’anni. Figli, ruoli di responsabilità, mutui, ruoli di cura, personalità complesse. Ma è indubbio che una fetta del fandom sia composta anche di adolescenti che magari hanno scoperto le sue canzoni dai tantissimi trend su TikTok ispirati dalla sua musica negli ultimi anni, o ancora con Folklore ed Evermore, album dalle sonorità più indie che hanno fatto compagnia a moltissimi durante la pandemia. Tante e tanti a Milano sono arrivati da soli in treno, altri sono stati accompagnati dai genitori: stanno appollaiati in un’ordinata fila su un muretto sul retro dello stadio, lontani dalla calca che va formandosi vicino ai furgoncini, pazienti.
La festa è altrove, e non era pianificata: Guia Baggini, una delle amministratrici del fan club Taylor Swift Italia, sottolinea che loro non hanno dato consigli o indicazioni ai follower, anche perché “non vogliamo incoraggiare assembramenti”, ma che molti si sono comunque dati appuntamento su gruppi Telegram o hanno visto i video delle persone rimaste fuori in altre date, e vogliono fare lo stesso.
Una coppia balla in un angolo, al tramonto: oltre alle spesse mura dello stadio di San Siro si è da poco levato il boato che accompagna la prima apparizione di Swift sul palco, le prime sono canzoni d’amore pure e semplici, chiamano momenti di tenerezza. Alcune decine di persone contano di ripararsi un po’ dagli ultimi raggi di sole dividendosi rari coni d’ombra, e intanto si presentano, magari usando la scusa di scambiarsi i “braccialetti dell’amicizia” preparati ad hoc per il concerto.
Clara è spagnola, ma vive da mesi a Roma grazie al progetto Erasmus. Indossa una maglietta bianca che dice, a caratteri cubitali, “My heart belongs to Taylor Swift”. La ascolta da quando ha sette anni, oggi ne ha 21. Ha già visto l’Eras tour quattro volte, a Londra e a Madrid: a Milano ha deciso di venire anche senza biglietto, contando di trovarne uno all’ultimo. Non è successo, ma è comunque contenta di stare qui, tra quella che considera la sua comunità.
Parla un ottimo italiano, e sta facendo amicizia con due ragazze che indossano la maglietta del tour: hanno entrambe 24 anni, adorano Swift da quando ne avevano sette, e il giorno prima si sono presentate fin dalle prime ore del mattino per mettersi in fila perché volevano ad ogni costo ottenere un posto sulla transenna, quanto più vicine possibile al palco. Sono tornate perché sapevano che ci sarebbero state tantissime altre persone anche lì fuori, e volevano godersi lo spettacolo: un bagarino ha provato a rivendere loro un biglietto all’ultimo minuto, per cinquecento euro. “A quel prezzo non avrei accettato nemmeno se fossi stata disperata”, spiega una di loro.
Molte, qua fuori, sono qui per ragioni simili. C’è la quattordicenne che è arrivata con le amiche da Padova nel pomeriggio: indossa un bellissimo body coperto di paillettes rosa e azzurro, molto simile a quello portato da Swift all’inizio del concerto. Dice che ci ha lavorato per settimane, in vista di stasera. Poi è arrivata allo stadio e ha scoperto che il biglietto che aveva in mano era fasullo. C’è chi semplicemente non ha potuto permetterselo, oppure non è mai riuscito a comprarne uno: la competizione per accaparrarseli è stata feroce, al punto che le fan che ce l’hanno fatta scherzano sul fatto di “aver vinto la grande guerra”.
Qui fuori ognuna si ritaglia lo spazio che vuole. Due ventenni passano l’intero concerto stese su un telo, tenendosi per mano, cantando a squarciagola un verso qua e là contro il cielo di Milano, nel proprio angolo. Due ragazzini tredicenni conoscono alla perfezione non solo ogni testo, ma anche gran parte delle coreografie che Swift ripropone sera dopo sera sul palco, e che i suoi fan hanno imparato a conoscere anche senza andare al concerto grazie al film del tour, uscito l’anno scorso, ma soprattutto grazie alla cascata di video dello show proposta quotidianamente dall’algoritmo di TikTok. Sembrano animati da un’energia inesauribile: corrono qua e là come farebbe lei sul palco, riuniscono attorno a sé decine di altri fan per fare grandi girotondi o commuoversi insieme durante i momenti più emotivi del concerto.
Quando Swift, là dentro, si mette alla chitarra per intonare le “surprise song” – due, tre o quattro canzoni dal suo grande repertorio, che cambiano ogni sera – uno di loro si allontana dall’altro. “Questa canzone non mi piace tanto, ma lui non lo sa”, dice con uno sguardo insondabile, a metà tra il senso di colpa e la complicità. “Non lo deve sapere”. La folla, intanto, è cambiata: se ne sono andate un po’ delle persone più giovani che volevano ascoltare la prima parte del concerto, che contiene alcuni dei suoi successi più pop; ne sono arrivate altrettante che vogliono scoprire quali canzoni a sorpresa canterà stasera. Qualcuno prova a seguire su TikTok un video live del concerto che qualcun altro sta registrando all’interno, ma la connessione salta e il suono, comunque, arriva prima dallo stadio che dal telefono. Un passante brillo si avvicina a una ragazza, le prende il braccio senza permesso per guardare i tanti braccialetti di perline che ha al polso, ed è allontanato con fermezza.
Tante e tanti sono venuti a Milano per il concerto, ma non hanno molti altri programmi per il resto del weekend: e poi quando ricapita di passare una serata in compagnia di così tante altre swiftie? I fandom, spesso, sono affari solitari: se vivi nel posto sbagliato finisce che ti tocca inseguire convention, fiere, concerti per trovare qualcuno che capisca davvero la tua passione. Il resto sono ore e ore passate sui social network a stringere legami strettissimi, spesso inspiegabili per le persone che invece vedi tutti i giorni. Andare all’Eras tour vuol dire, in questo senso, anche uscire da internet e toccare con mano il fatto che a condividere quella passione con te non sono solo profili lontani che vivono nell’etere, ma persone in carne e ossa, con tanto di outfit cuciti a mano e voci stonate.
“Io mi sono appassionata a Taylor nell’ultimo anno, al punto che alla fine del 2023 Spotify mi ha piazzata tra lo 0,5 per cento dei migliori ascoltatori”, racconta Giulia, che ha 34 anni ed è venuta da Roma per ascoltare la cantante. “Quando mi sono resa conto di voler andare all’Eras tour era già troppo tardi per provare a prendere i biglietti, ma mi sono organizzata per andare a sentirla quanto meno fuori dallo stadio perché ho sentito che la sua musica è stata talmente importante per me nell’ultimo anno che non potevo non esserci. Insieme alle amiche ci siamo dette che sicuramente ci sarebbero state altre persone e che sarebbe stata una bellissima esperienza, ed è stato così”. Le amiche hanno portato un cestino da picnic: tramezzini, tè freddo, patatine, asciugamani, zampironi. Per Giulia “è stato come essere al Lucca comics & games”, la gigantesca fiera nerd che ogni anno, a cavallo tra ottobre e novembre, attira nella città toscana decine di migliaia di persone appassionate di videogame, fumetti, giochi da tavolo, serie tv, manga, anime, cultura pop.
Se sei il genere di persona a cui piace riconoscere qualcosa di sé negli sconosciuti, che cerca qualsiasi appiglio per ricordare di non essere sola ed essere invece legata a migliaia di altri da fili invisibili di esperienza umana, queste cose le capisci: andare all’Eras tour è come abbracciare un altro tifoso allo stadio dopo un gol, o sorridere a qualcuno mentre cantate Bella ciao a una manifestazione più partecipata del previsto. Non ha una valenza politica, certo. Ma è un raro momento in cui esci dalla routine della vita quotidiana per partecipare a qualcosa che sembra più grande di te: un coro, un girotondo, un estatico rituale collettivo.
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